C’è il significato della purezza nell'alimentazione e nel consumo di vino. Per restare puro un individuo deve cibarsi di sostanze pure. È curioso come il vino, per secoli destinato a consumatori poveri e denutriti, sia improvvisamente divenuto la componente simbolicamente più preziosa del pasto celebrativo. Il vino deve questa metamorfosi proprio ad una ricerca di una purezza che ne innalza il percepito sino a livelli di culto, a volte persino ossessivo. A volte francamente ridicolo. La purezza delle origini implica sempre dislivelli di qualità che inficiano la scelta oculata del prodotto. Il vino fondato sul mono vitigno, costituisce invece il focus dell’interesse degli appassionati, implica distinzioni tra aree, cantine ed annate, contribuisce a ragionamenti esoterici, ma non risponde alle necessità di un consumo “democratico”.
La maggioranza degli italiani non ha chiaro il significato effettivo del termine di purezza, spesso lo lega ad un nome che non è in grado di decodificare. Sotto la dizione Chianti la maggior parte dei consumatori individua un vitigno, così come il termine Tavernello. La ricerca della purezza si esplicita nel comune sentire nella valorizzazione dei diversi cru, idealmente ben separati tra di loro. Che tutto questo implichi instabilità del livello qualitativo, incrementi sensibilmente il prezzo, frantumi gli standard di riferimento, poco importa, anzi sta contagiando il caffè, il cioccolato, l’olio d’oliva, la frutta. Il concetto di purezza è vissuto dagli odierni consumatori in senso ideologico. Si stacca dall'effettiva realtà dei cicli agricoli. Metterebbe direttamente il consumatore a contatto con la natura! Però essendo confinato a produzioni ristrette, è legato all'andamento stagionale, che nelle annate cattive lo rende inevitabilmente di qualità peggiore a quello che si ottiene da tagli e miscele. Tale è però il potere magico contenuto nella parola “purezza”, che esso cancella ogni altra contraddizione.
Fonte: Tre Bicchieri Gambero Rosso (Articolo a firma del Prof. Attilio Scienza)