Ha parlato soprattutto ai giovani, il giornalista e scrittore Pino Aprile, in una sala gremita dell’Istituto Agrario di Larino, sabato 24 gennaio, agli studenti delle classi quinte degli istituti tecnici e liceali della città frentana, che ha ospitato chi ha rimesso in discussione, con il best seller Terroni, e con una successiva ricca biografia, la storia degli ultimi 150 anni del nostro Paese. In nome dell’unità nazionale, alla stessa stregua dei Lanzichenecchi a Roma, dei marines ad Abu Ghraib o di Pinochet in Cile - come l’autore sottolinea nelle prime pagine di Terroni - il Sud, appartenente al Regno delle Due Sicilie, uno dei paesi più ricchi e industrializzati al mondo, fu saccheggiato di tutte le sue ricchezze, svuotato delle sue industrie all'avanguardia, provocando un’emigrazione senza precedenti. Dati storici inconfutabili presenti negli Archivi di Stato, mai resi pubblici, ben nascosti dagli storici di regime, come evidenzia uno dei maggiori studiosi in materia, Denis Mack Smith, con la sua “Storia Manipolata”. L’invito a Pino Aprile a parlare di Sud, di giovani e di futuro, si inserisce nel percorso che portiamo avanti nella diffusione della cultura delle produzioni agroalimentari molisane, e quindi della sua storia, attraverso la “Scuola del Gusto”, oltre che attraverso le pagine di questo blog, con il contributo straordinario di tante professionalità, e lo scrittore “meridionalista” più seguito in Italia, rappresenta solo l’ultima gemma di un percorso in piena evoluzione.
Per la prima volta, dopo 150 anni dall'Unità d’Italia, lo scrittore di origine salentine sostiene che, “dopo che i nostri padri hanno dovuto convivere con il peso del pregiudizio e della vergogna, perché essere meridionali implicava una serie di luoghi comuni da estirpare, i figli sembrano essere sgombri da ogni retaggio legato a un passato di oppressioni”. Proprio nel momento in cui sembra riacutizzarsi il fenomeno dell’emigrazione, “grazie ad una propria formazione universitaria e, soprattutto, all'azzeramento delle barriere di spazio e tempo grazie alla rete - non esiste più un Nord e un Sud, non esistono più terroni - stanno costruendo una nuova Italia, riscoprendo le proprie radici, la propria identità culturale”. L’autore cita diversi esempi, tra cui Antonio Cucco Fiore, giovane di ventiquattro anni di Gravina di Puglia, che dopo una straordinaria e fulminea carriera come selezionatore di personale per i più importanti istituti finanziari di livello mondiale nella City di Londra, decide di smettere e di tornare nel suo paese e, attraverso studi e ricerche approfondite, scopre che il formaggio della tradizione dell’alta Murgia che assaporava da bambino, simile a un caciocavallo, era di origine antichissima (sarà un caso che l’evento s’inserisce nel filone lattiero-caseario della “Scuola del Gusto”?). Il “pallone” di Gravina (“u grattacaese” provolone Dop pugliese) divenne il “core business” da sviluppare, coniugando la storia e la tradizione, con la new economy e il marketing digitale, creando un brand capace di supportare l’azione di mercato delle aziende presenti sul territorio.
Lo slogan “valorizziamo i sapori e le tradizioni del nostro sud”, sulla locandina dell’evento, è emblematico. “Questa è la strada maestra, perché tutto il mondo ci imita e ci invidia, perché vuole mangiare come noi, ama la nostra storia, la nostra cultura”, chiosa l’autore, spronando i tanti studenti presenti a riappropriarsi delle proprie radici. “Attenzione, c’è anche una pericolosa minaccia che incombe sull'Europa mediterranea”, rileva poi con preoccupazione, che è poi il tema del suo ultimo libro, “Terroni ‘ndernescional”, che presenta per l’occasione, “ossia a un rischio di terronizzazione da parte della Germania, come fece quella dell’Ovest con quella dell’Est, dopo la caduta del muro di Berlino”, rifacendosi poi all’esempio della Sardegna, “prima vera vittima dell’ingordigia sabauda, l’unica Regione governata da Savoia al tempo dell’Unità, che gli fruttò la dignità regale (il Piemonte non era Regno, la Sardegna si), con meno strade, più analfabeti e senza un metro di ferrovia”.
“Per evitare tutto questo, dobbiamo credere nelle nuove generazioni”, secondo l’autore, “che scelgono corsi di studi che li riportano ai loro territori d’origine, alla comprensione della loro storia, della loro cultura, dei loro costumi, del loro dialetto, dei prodotti della terra, per realizzare progetti culturali, di riscoperta dei luoghi dimenticati e della gastronomia. Solo recuperando una propria identità culturale e una coscienza dei propri diritti, si può creare una nuova classe dirigente per un Paese più equo”. Un bel messaggio per gli studenti e i corsisti della “Scuola del Gusto”, impegnati, in prima persona, nella ricerca di un’identità storica e culturale del proprio patrimonio enogastronomico, con assunzione di consapevolezza e senso di appartenenza.
Sebastiano Di Maria
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