“Molicaseus”, l’ultimo percorso formativo della “Scuola del Gusto”, sta entrando nel vivo della programmazione, dopo una parte introduttiva sugli aspetti storico-culturali e produttivi di carattere generale, affrontando alcune delle tematiche che più riguardano il comparto lattiero-caseario regionale e nazionale, anche dal punto di vista dell’abolizione delle quote latte, sistema introdotto nel 1984 per evitare che la produzione di latte diventasse eccessiva con il conseguente crollo dei prezzi, che dal 1 aprile cesserà di esistere. Dopo la lezione di Daniele Gagliardi, che ha affrontato i temi concernenti la fisiologia animale e all'influenza dell’alimentazione sulla composizione del latte e alla sua attitudine alla caseificazione, seguita da quella di Pasquale Marco Romano - entrambi sono docenti dell’Istituto Agrario di Larino - che, invece, ha sviscerato gli aspetti riguardanti i latti alimentari e alla tecnologia relativa, è stato la volta di Emilio Pietrolà, libero professionista, esperto di zootecnia molisana e studioso di razze autoctone.
Tra i vari aspetti trattati, di sicuro interesse, è stato quello che ha riguardato le razze bovine più diffuse sul territorio regionale e, com'era facile intuire, la Frisona, o pezzata nera, per la sua straordinaria generosità nel produrre latte, rappresenta la più diffusa. Quello che invece molti non sanno, però, è che la Frisona in Molise produce circa 20 quintali di latte in meno rispetto alle regioni del nord (da circa 90 quintali a lattazione della Lombardia a circa 70 del Molise), per motivi che si riferiscono al tipo di alimentazione, legati, a loro volta, alle caratteristiche dei foraggi prodotti, che decretano, di fatto, un calo di redditività rispetto a quelle allevate in zone più vantaggiose per produrre quantità, e quindi reddito. Non solo, un nuovo abbassamento del prezzo pagato al produttore, sceso di altri due centesimi rispetto ai 36 (una miseria) su cui ci si era accordati, cui si aggiunge la dilazione dei tempi di pagamento arrivato, addirittura a 90 giorni, decreta la lenta e inesorabile morte del settore. La liberalizzazione delle quote latte, infatti, penalizzerà soprattutto il Molise, o le regioni del centro sud, a vantaggio di quelle del nord, che produrranno più quantità e quindi più redditività. A questo poi si aggiunge, come sembra da indiscrezioni di settore, che in Molise non si ritiri il latte dalle stalle il sabato e la domenica, con un nuovo aggravio di costi per il produttore che dovrà munirsi di altri tank refrigerati per lo stoccaggio. Come difendersi? Pietrolà sostiene che “una delle possibili soluzioni è puntare su razze autoctone, più rustiche, e con meno esigenze rispetto alle grandi produttrici, che permettono di ottenere dei latti con caratteristiche compositive, in particolar modo grassi e proteine (uno dei parametri di pagamento del latte è il contenuto in grasso), che meglio si prestano alla trasformazione e all'ottenimento di prodotti casari di qualità (Podolica o Pezzata Rossa, per esempio).”
Altro aspetto interessante, su cui spesso si dibatte, è la scarsità del latte prodotto in Regione per coprire i reali fabbisogni dei tanti caseifici disseminati sul territorio, che, mentre ne certificano una tradizione straordinaria, nel frattempo li pongono di fronte ad una difficoltà di approvvigionamento, soddisfatta il più delle volte dall’arrivo di latte extraregionale o, a volte, anche extranazionale, spesso a prezzi molto concorrenziali. A questo, purtroppo, spesso si aggiunge l’utilizzo di semilavorati congelati (cagliata pronta da filare) che provengono dalla Germania, che standardizzano la tessitura e il gusto dei prodotti. “Le mozzarelle migliori, quelle prodotte con latte di razze meno prolifiche, non standardizzate dall'utilizzo di semilavorati o con latti con parametri “normali”, in Molise, sono quelle che finiscono prima”, chiosa Emilio Pietrolà. Lo stesso, poi, chiarisce che, da un punto di vista squisitamente economico, “a un’azienda conviene l’utilizzo di semilavorati perché, mentre un’autocisterna porta circa 300 quintali di latte di cui 270 quintali di acqua (non è una frode, ovviamente, ma è la reale composizione del latte), per un semilavorato è pagato il trasporto su 300 quintali di prodotto filato effettivo”.
Ultimo aspetto che il tecnico ha fatto notare, purtroppo, è che la selezione che l’uomo ha imposto nel settore ha, di fatto, portato all'estinzione di molte specie che rappresentavano patrimonio genetico delle aree rurali del meridione d’Italia, ossia valore zootecnico (prodotti tipici), valore ambientale e valore culturale. Una delle specie salvate da questa fine, in Molise, con uno studio importante, di cui il relatore ne è stato uno dei maggiori artefici, è la Capra di Montefalcone, inserita nell'elenco FAO nella casella Grigia molisana o di Campobasso e, per tale motivo, può avere accesso a contributi comunitari (PSR) che ne tutelino la preservazione e la produzione. La Capra di Montefalcone è stata oggetto di un approfondimento, durante la manifestazione Terre del Gusto a Canneto, nel settembre scorso, con un laboratorio del gusto, curato da chi scrive e dallo stesso Emilio Pietrolà, cui si rimanda per una trattazione di più approfondita, a questo link. Sempre in quell'occasione, si è parlato anche di tratturi e transumanza, con la famiglia Romualdi di Larino, storica rappresentate di questa pratica antichissima, il cui caseificio “Masseria del Cavaliere”, è stato oggetto della visita aziendale successiva alla lezione, con una caseificazione di latte ovino fatta alla presenza dei corsisti, con tanto di degustazione dei loro prodotti. Entra nel vivo, così, “molicaseus”, per mettere in risalto, tra criticità, tipicità e bontà straordinarie della piccola terra molisana.
Scatti durante la visita aziendale presso "Masseria del Cavaliere"
Scuola del Gusto
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