sabato 31 dicembre 2011

LA REALTA' VITIVINICOLA IN MOLISE

La viticoltura molisana, pur risalente a origine preromana, non ha mai avuto un ruolo fondamentale nell’economia della regione, sia per motivi storici sia economici. A metà degli anni 50 del secolo scorso, dopo la riforma fondiaria, ci fu un vero e proprio abbandono della coltivazione della vite nelle zone interne, dove la Tintilia aveva il suo habitat naturale, per una riconversione alla coltivazione di cereali ed oleaginose. Nel frattempo la viticoltura si spostò sulle colline della bassa valle del Biferno, dove si diffuse l’allevamento a tendone, esportato dal vicino Abruzzo da agricoltori che si trasferirono nella nostra regione nel corso dei decenni. Naturalmente questo portò a produzioni quantitative che ben si sposavano con le tendenze di mercato del momento.

Impluvium con tralci, pampini e grappoli
Domus ellenistica - Larino
Nell’ultimo decennio, però, si è avuta una vera e propria metamorfosi della realtà produttiva, imputabile soprattutto alla riscoperta o rivalutazione del vitigno autoctono della regione, la Tintilia appunto, fino allora confuso con il Bovale Grande di cui era sinonimo nell’Albo Nazionale dei Vitigni. Sono aumentate le aziende trasformatrici, come gli impianti di nuovi vigneti e la parziale riconversione in forme di allevamento più consone a prodotti di qualità, dal tendone al filare. Naturalmente c’è anche un rovescio della medaglia: l’estirpazione di molti impianti poco produttivi, frutto sia della politica scellerata e poco trasparente di realtà cooperativistiche da una parte, sia del contributo comunitario per l’abbandono della coltivazione, deciso in ambito delle OCM, dall’altra. Riporto di seguito alcuni dati statistici, estratti dal sito “I numeri del vino”, cui consiglio di dare sempre un’occhiata, che fotografano la realtà regionale.
Fonte: I numeri del vino (Marco Baccaglio blog)
Da questo primo specchietto si evince che c’è stata una contrazione nella produzione di vino che, se considerata nel breve termine (biennio 2009/2010), è sostanziale, ossia pari al 15% e con una media annuale dal 2006 pari al 7,8% contro l’1,5% (calo) della media nazionale (dato non riportato). Nella seconda parte della tabella troviamo l’andamento delle superfici vitate: ancora una volta i dati parlano di una contrazione con una media annuale pari al 5,9%. Al 2010 in provincia di Campobasso sono coltivati a vigneto 5280 ettari contro gli appena 594 in provincia di Isernia (dati ISTAT).
Fonte: I numeri del vino (Marco Baccaglio blog)
Qui invece troviamo il valore ai prezzi di origine (milioni di €) sia del comparto viticolo che enologico regionale rispetto alla media nazionale, con il solito rapporto nel breve e nel lungo periodo. Considerando l’aspetto viticolo in Molise, c’è stato sì un calo nel lungo periodo pari al 4%, ma un confortante + 4,3% del valore nel biennio 2009/2010 cui è corrisposto un incremento importante nella produzione di vino in valore pari al 7,6% nell’ultimo quinquennio. Questo dato conferma quanto già detto nell’introduzione: a fronte di un’importante diminuzione in termini di superfici vitate, oltre che in termini di volume, è corrisposto un incremento del valore del vino prodotto, dato dall’aumento delle aziende produttrici di vino imbottigliato che ha portato, come conseguenza, a un aumento del valore dell’intero comparto. Anche il valore del vigneto è aumentato, tenendo conto solo dell’ultimo biennio. Se questi dati sono poi confrontati con la media nazionale, c’è da essere più che soddisfatti: nel comparto viticolo cresciamo, come valore medio, di più rispetto alla media nazionale. Dato addirittura in controtendenza è la crescita del valore del vino prodotto rispetto a una contrazione sostanziale a livello nazionale. In parole povere, avviene ciò di cui avevo parlato nel post precedente: una crescita dell’intero comparto che è confermata per molte regioni del centro sud, tra cui il Molise, contro un ristagno o a volte anche contrazione del comparto nelle regioni settentrionali. Naturalmente trattasi in questo caso di volumi importanti che incidono in maniera decisa nella media nazionale.
Fonte: I numeri del vino (Marco Baccaglio blog)
In questo specchietto, invece, troviamo la quantità di vino prodotto (ettolitri) per le diverse denominazioni (dati FEDERDOC). La contrazione maggiore si è avuta per la DOC Molise tra il 2008 e il 2009, mentre continua a esserci un solo produttore iscritto alla DOC Pentro d’Isernia, caso più unico che raro. Naturalmente manca da quest’analisi la Tintilia del Molise, riconosciuta con la DOC nel Giugno del 2011 dal “Comitato nazionale per la tutela e la valorizzazione delle denominazioni di origine”.
Si tratta di numeri piccoli quelli del Molise, ma che rispecchiano una vera e propria inversione di tendenza nella produzione nazionale. Mentre gli altri stentano a muoversi, avendo già sparato tutte le cartucce, noi corriamo, anche se siamo ancora molto distanti dalla meta. Cominciamo con la sensibilizzazione già in casa nostra, dove non c’è una cultura enoica radicata dimostrata, peraltro, dai bassi consumi rispetto ad altre realtà. Infine puntare tutto su una strategia promozionale comune, visti i numeri, e non pensare che alcune fredde tabelle sparse lungo le vie della regione o un consorzio presente solo sulla carta possano risolvere i nostri problemi.
Sebastiano Di Maria

giovedì 29 dicembre 2011

IL NUOVO CHE AVANZA

Come ogni fine anno è tempo di bilanci. Naturalmente anche il vino non è fuori da questa logica e, dopo l’abbuffata di giudizi più o meno lusinghieri a suon di grappoli e bicchieri, ci troviamo di fronte a quello che può essere ritenuto il gota dell’Italia enoica, ossia la Top 100 dei migliori vini rossi. Questo pagellone di eccellenze è stato redatto, come accade annualmente, da “Gentleman”, magazine di Milano Finanza, che ha praticamente incrociato i punteggi delle cinque più autorevoli guide enologiche (Gambero Rosso, l’Espresso, Veronelli, Associazione Italiana SommelierLuca Maroni) oltre che tener conto del posizionamento delle bottiglie italiane nella graduatoria della rivista Wine Spectator.

Fonte: Gentleman (Milano Finanza)
Quello che balza immediamente all’occhio, ma già ampiamente preannunciato, è la conquista della vetta da parte del Primitivo di Manduria di Gianfranco Fino, una “new entry” destinata a rimanere in posizioni di vertice a lungo. Una vittoria annunciata, come dicevo, quella dell’Es 2009, che ha messo d’accordo tutte le guide e che rappresenta una realtà territoriale nuova nel panorama vitivinicolo nazionale con un vitigno, il Primitivo, di provenienza dalmaziana, che è ormai considerato a tutti gli effetti un autoctono, peraltro geneticamente uguale allo Zinfandel californiano, di cui ne condivide le origini.
Secondo qualche guru dell’enologia italiana, il terroir di elezione di questo vitigno non sarebbe la Puglia e ne tantomeno il territorio di Manduria e che tale successo, per lo più varietale, beneficierebbe in particolar modo sia di vigneti vecchi, condizione imprescindibile per l’ottenimento di grandi vini, peraltro vero nel caso dell’Es, sia di un’esposizione favorevole, che beneficia di brezze marine, ma che è poco rappresentativa di questo territorio. Di contro, però, un altro piccolo successo a favore di tale vitigno e della Puglia è stato raggiunto: in classifica al 24° posto c’è un altro Primitivo, questa volta di Gioa del Colle, nell'entroterra barese, dove il mare è stato avvistato per l'ultima volta, probabilmente, nel pleistocene. Per non essere il territorio di elezione, proprio schifo non fa. Se poi anche Bruno Vespa, notizia fresca questa, con alcuni amici veneti, tra cui Camilla Rossi Chauvenet della Massimago in Valpolicella, investono in un'azienda viticola a Manduria, gatta ci cova.
Il Primitivo e la Puglia rappresentano il “nuovo che avanza”. Dato, quest’ultimo, ulteriormente avvalorato dalla composione della top ten: ben otto provenienti da regioni diverse e molte dal centro-sud. Come non notare la presenza di ben due Montepulciano d’Abruzzo: il Villa Gemma 2007 del compianto Masciarelli, produttore straordinario, vorticoso di idee ma conservatore al tempo stesso, capace di dare lustro a questo vitigno e all’Abruzzo nel mondo o come il San Calisto 2008 di Valle Reale, piccola realtà produttiva incastonata nel cuore nell’Abruzzo, al di fuori dell’areale preponderande della denominazione.
Come non notare la presenza di due Aglianico, uno in purezza, quello del Taburno con La Rivolta Riserva 2008, in provincia di Benevento , e l’altro il Terra di Lavoro 2009 di Galardi, in uvaggio con Piedirosso, ai piedi del vulcano spento di Roccamonfina in provincia di Caserta?
Ad onor del vero, nella Top 100, ed in particolar modo nelle prime posizioni, mancano alcuni dei più blasonati vini italiani, soprattutto langaroli, per esempio il Barolo Monfortino, o toscani, come Ornellaia e Masseto, per via dell’assenza in alcune guide del voto dell’annata in commercio. Seppur monca, la Top 100 dei vini rossi italiani non nasconde che ci sia una ventata nuova e che questo piccolo vantaggio, senza i soliti noti, possa portare ad una maggiore visibilità di realtà produttive che per potenzialità ed espressione territoriale non hanno nulla da invidiare ai pluridecorati connazionali.

Vorrei spendere due parole, per finire, sulla mia terra, il Molise. Una realtà giovane ma dinamica che stà scoprendo una territorialità e una vocazionalità mai sentite in passato, tranne che per alcune eccezioni, grazie alla lungimiranza di giovani produttori che, sotto la spinta della riscoperta di un vitigno autoctono, il Tintilia, da quasi dimenticato nella memoria collettiva a DOC nel 2011, stanno scalando i consensi della critica. Mi piace ricordare, in questa sede, che tra le cento migliori cantine del bel paese selezionate dalla celebre rivista Wine Spectator per "Opera Wine", appuntamento di apertura del Vinitaly 2012, c'è la Di Majo Norante, fiore all'occhiello della nostra regione.

Sebastiano Di Maria

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