giovedì 27 febbraio 2014

OLIVICOLTURA E EXTRAVERGINE AL CENTRO DELLE RICHIESTE PER LO SVILUPPO DEL TERRITORIO

E’ stata tenuta a battesimo, nelle scorse settimane, presso il centro Domus Area di Bagnoli del Trigno, “la perla del Molise”, come recita lo slogan di benvenuto nel comune isernino, la terza edizione della mostra e degustazione dell’olio extravergine molisano, oltre al concorso M-oli-Sani (MOS 2014), con l’intento di promuoverne le qualità salutistiche e nutrizionali, oltre che la tutela del paesaggio olivicolo. Oltre alla possibilità di degustare gli oli di circa venti aziende espositrici, la giornata divulgativa si è arricchita di contenuti con un convegno tematico, con l’apporto tecnico e scientifico di professionisti e accademici, su quello che è lo stato dell’arte del settore, con particolare riferimento alla qualità intrinseca degli oli molisani, dall'olivo alla bottiglia, passando per la tutela del paesaggio olivicolo. Non sono mancati riferimenti alle difficoltà di approccio al mercato, mentre nuove prospettive potrebbero esserci per lo smaltimento dei reflui di lavorazione

Veduta di Bagnoli del Trigno (foto Sebastiano Di Maria)
Proprio il mercato, e quindi l’export dei prodotti di qualità, sono stati i temi affrontati nel convegno, attraverso le parole di Domenico Morinilli, direttore commerciale del consorzio Atlante, “nato proprio dalla necessità di mettere a disposizione a una “clientela” extra-europea il prodotto italiano di qualità e quindi, attraverso questa forma di associazione, dare la possibilità di penetrare questi mercati, difficilmente raggiungibili dai piccoli per leggi e burocrazie non conosciute e poco studiate, oltre che molto onerose”. “Questa rete di produttori nei paesi esteri è altrettanto necessaria”, sempre secondo lo stesso Morinilli, “in aggiunta ai buyers o importatori che vengono in Italia, cercando di portare, non solo il prodotto, ma soprattutto la cultura", forti anche di un brand “Italia”, straordinario e in continua ascesa. Purtroppo, in Regione mancano queste forme consortili, e questo è il vero tallone d’Achille, basti pensare all’assenza di un Consorzio di tutela della DOP Molise, che dovrebbe farsi carico degli aspetti promozionali e divulgativi, non solo, ma ciò dovrebbe essere auspicabile anche per una frammentarietà delle produzioni e, soprattutto, per una massa critica davvero irrisoria se confrontata con le richieste di mercato di alcuni paesi. Aimè, anche questi appuntamenti o concorsi (che senso ha proporre un altro alternativo a Goccia d’Oro in una piccola realtà come il Molise?), che hanno il grande merito di accrescere nel produttore e nel consumatore molisano la consapevolezza sulla qualità delle nostre produzioni, purtroppo, di contro, manifestano una difficoltà di coesione tra produttori o enti proponenti, figlia di un’assenza di “governance”, di cui molti parlano ma che, concretamente, non esiste.

Una delle aziende nell'esposizione-concorso (foto Sebastiano Di Maria)

Gli aspetti merceologici, salutistici e sensoriali sono stati al centro dell’intervento di Mario Stasi del Co.re.di.mo, grande esperto di olivicoltura e membro del Panel di assaggio della Camera di Commercio, che ha affermato con insistenza che “il momento migliore per la raccolta è all'inizio dell’invaiatura, in modo da preservare le caratteristiche organolettiche e nutrizionali dell’olio, oltre che evitare i problemi di attacchi di mosca dell’olivo, l’unico problema reale inficiante la qualità del prodotto, concentrati nei periodi più avanzati della maturazione delle drupe”. Inoltre, lo stesso agronomo, snocciolando i dati su ricerche effettuate in campo, ha posto l’accento sulla necessità di migliorare ulteriormente la qualità del prodotto, “possibile con diminuzione della durata della gramolazione e miglioramento delle tecniche di estrazione”, descritte con dovizia di particolare nell’intervento dell'agronomo Nicola Listorti. Non solo, “l’olio ha una qualità intrinseca ed estrinseca, quindi ha bisogno di un sistema di tracciabilità e rintracciabilità che metta in risalto il contenuto della bottiglia, un concentrato nutrizionale e salutistico, ma anche un territorio con la sua storia e la sua cultura”, chiosa lo stesso Stasi. 

L'agronomo Mario Stasi durante il suo intervento (foto Sebastiano Di Maria)

Una corretta opera promozionale, con il contenuto della bottiglia che è l’espressione di un territorio e, quindi, del suo paesaggio olivicolo, presuppone che lo stesso vada “giustamente valorizzato e tutelato, evitandone l’abbandono, perché ricco di biodiversità e di storia, anche come possibile fonte di reddito in una realtà che vive uno spopolamento evidente”, sono le parole di Sebastiano Delfine, docente presso l’Università del Molise. Lo stesso poi ritiene che “è auspicabile che gli agricoltori percepiscano un reddito dalla loro attività, perché sono i custodi del paesaggio, se ciò non fosse decreterebbe, di fatto, la morte dell’agricoltura”. Giuseppe Palumbo, docente di chimica del suolo sempre presso lo stesso ateneo, ha mostrato quali sono stati i risultati delle prime ricerche su un sistema alternativo d’impiego e lo smaltimento dei reflui di lavorazione degli oleifici, concreto problema ambientale. L’accademico ha affermato che “la detossificazione delle acque di vegetazione, sia liquide insufflando aria o attraverso l’ausilio di ossido di Manganese, o adsorbite su compost da rsu (rifiuti solidi urbani), hanno dato dei buoni risultati, con un abbattimento di circa il 50% dei polifenoli, principali responsabili dei fenomeni di tossicità sulla microflora del terreno e inquinamento delle falde”. Tali risultati sono da confermare in pieno campo, ciò consentirebbe di utilizzare tale sottoprodotto come ammendante o biofertilizzante, in un’ottica di sostenibilità ambientale.

Il Prof. Giuseppe Palumbo durante relazione (foto Sebastiano Di Maria)

Drupe della varietà Olivone (foto Sebastiano Di Maria)

Sempre il vulcanico Mario Stasi, ha poi portato a conoscenza del pubblico e degli amministratori presenti, i primi approcci tecnico-scientifici sull’Olivone, varietà autoctona dell’areale che insiste nel territorio circostante di Bagnoli del Trigno, insistendo, ancora una volta, con appelli verso le Istituzioni, Università e comunità locali nella tutela e promozione delle varietà autoctone in generale, oltre che del relativo paesaggio olivicolo, che sono la vera forza del territorio.

Sebastiano Di Maria
molisewineblog@gmail.com



sabato 22 febbraio 2014

POTATURA DELL'OLIVO IN PIENO CAMPO ALLA SCUOLA DEL GUSTO

Con la lezione di giovedì pomeriggio, svoltasi presso l’azienda dell’Istituto Tecnico Agrario di Larino, si chiude il modulo sull’olivicoltura del progetto Un Molise Extra-Ordinario, l’ultima di tre lezioni che ha portato i corsisti della “Scuola del gusto” a cimentarsi direttamente con gli olivi, cercando di carpirne, sotto la guida attenta di Maurizio Corbo dell’Arsiam, quelli che sono i principi fondamentali di una corretta gestione della chioma, attraverso l’operazione di potatura. La lezione si è arricchita, poi, della partecipazione di Giuseppe Barone, che forma annualmente i ragazzi che frequentano l’Istituto Agrario, ottenendo risultati straordinari nelle gare di potatura con professionisti, sia regionale sia nazionale, guidando a passo a passo i corsisti nelle fasi salienti dell’operazione, e di Pardo Di Tommaso, campione italiano di potatura dell’olivo a vaso policonico, e grande esperto del settore.

Maurizio Corbo dell'Uffico Olivicolo dell'Arsiam (foto Sebastiano Di Maria)
Giuseppe Barone dell'Istituto Tecnico Agrario (foto Sebastiano Di Maria)
Pardo Di Tommaso, campione italiano di potatura dell'olivo a vaso policonico (foto Sebastiano Di Maria)

Uno degli aspetti fondamentali della potatura dell’olivo, che è emerso durante le lezioni, è l’equilibrio vegeto-produttivo. In condizioni di equilibrio, infatti, le piante fruttificano secondo le loro potenzialità e vegetano quanto basta per assicurare la futura produzione. La tecnica di potatura e la scelta della forma d’allevamento devono contribuire al raggiungimento di tale obiettivo. Particolare rilevanza assume il rapporto chioma-radici, essendo in stretta relazione tra di loro: riducendo le dimensioni, e di conseguenza le funzionalità della chioma, si riducono anche la crescita e la funzionalità dell’apparato radicale e viceversa. Quest’aspetto è legato alla presenza e alla struttura delle “corde”, una sorta di costole, spesso ben visibili lungo il tronco, che sono responsabili del trasporto del flusso linfatico. Questo significa che, con l’eliminazione di una branca, si ha una decadenza della corrispondente porzione di apparato radicale, mentre zone poco attive possono essere rapidamente abbandonate a favore di altre in forte crescita. La potatura, quindi, in prima analisi, deve tenere conto di questo comportamento cercando di mantenere un’adeguata attività vegetativa in tutte le zone della chioma.

Un momento della lezione (foto Sebastiano Di Maria)

Altro aspetto determinante, da tener sempre presente, è che l’olivo è una pianta eliofila, come più volte hanno ripetuto durante la lezione i relatori, cioè ha bisogno di luce, quindi è necessario che tutta la chioma sia illuminata e che nessuna porzione rimanga in ombra. Se le foglie sono ben illuminate, hanno un elevato tasso di fotosintesi, con ottima produzione di elaborati (in particolar modo carboidrati) che saranno poi traslocati ai frutti (inoliazione maggiore in condizione di luminosità), ai germogli (differenziazione a fiore delle gemme), ai tessuti di riserva (ovoli visibili sul tronco e sul ciocco) e all’apparato radicale. Di conseguenza, le foglie ombreggiate rappresentano solo un costo per la pianta poiché consumano più di quello che producono e, col tempo, la pianta stessa tende a eliminarle (filloptosi). Con la potatura, in definitiva, si deve permette una maggiore illuminazione delle parti interne e basali della chioma, con una conseguente maggiore produzione, distanziando le branche l’una dalle altre, favorendone una disposizione ottimale nello spazio, eliminando le branche esaurite e sostituendole con altre ben illuminate ed efficienti. 

Potatura di una pianta d'olivo durante la lezione (foto Sebastiano Di Maria)

Le forme di allevamento più diffuse in olivicoltura sono il vaso, il globo, il monocono e l’asse centrale. Il vaso è una delle forme più praticate e può realizzarsi con numerose varianti (vaso libero, vaso policonico, vaso cespugliato ecc.) che riguardano principalmente l’inclinazione delle branche principali, la distribuzione della vegetazione intorno a esse e l’altezza del tronco. Il globo, invece, è una forma molto diffusa in ambienti caldi, dove elevati sono i rischi di ustioni sulla struttura legnosa causate dall’intensa radiazione solare. La fruttificazione si concentra nella zona periferica della chioma. Il monocono presenta la vegetazione distribuita su un unico asse verticale (fusto) sul quale s’inseriscono, con angolo molto aperto, le branche primarie aventi una lunghezza decrescente dalla base all'apice della chioma, dandole le sembianze di un cono (si presta a parziale potatura meccanica). L’asse centrale, infine è utilizzato per gli impianti super-intensivi (distanze d’impianto intorno a 1,5x4 m), progettati per attuare la raccolta meccanica con macchine scavallatrici (vendemmiatrici opportunamente modificate) e per meccanizzare la potatura. Il sistema di allevamento oggetto della lezione, è stato il vaso policonico, costituita da un unico tronco e 3-5 branche orientate in diverse direzioni e ciascuna allevata secondo una forma conica che ben si presta alla raccolta meccanica con agevolatori, anche per scuotimento


Fonte: Accademia Nazionale dell'Olivo e dell'Olio


Pianta d'olivo potata a vaso policonico (foto Sebastiano Di Maria)

Ancora una volta c’è stato grande interesse per la lezione, soprattutto per i corsisti che sono direttamente impegnati nella filiera. Ricordiamo che ci sono produttori, olivicoltori e giovani che stanno investendo nel settore agricolo, oltre agli studenti che ne sono il futuro, che vogliono carpire a fare propri i concetti che professionisti, uomini di cultura e tecnici gli somministreranno durante tutte le lezioni. Tutto a costo zero.

Scuola del gusto



martedì 18 febbraio 2014

VINI E VITIGNI ESPRESSIONE DEL TERRITORIO MOLISANO

Riporto una pubblicazione di Forche Caudine del mese di marzo 2014, il notiziario della comunità dei romani d'origine molisana, dove ci sono diversi passaggi dell'articolo da noi pubblicato e che potete leggere qui, che parla di una delle realtà storiche della vitivinicoltura molisana, la cantina Valtappino, quella che per prima ha creduto nelle potenzialità della Tintilia e del territorio molisano, di cui ne è espressione vera, ed è un dato di fatto, visto che imbottigliava l'autoctono già dal 1998. I recenti premi ne sono una conferma. Buona lettura.  

Il direttore Luciano Cirucci e immagini della cantina





Fonte: Newsletter Forche Caudine marzo 2014



sabato 15 febbraio 2014

L'OLIO DI QUALITÀ'? AMARO, PICCANTE E MOLISANO

Il percorso formativo della “Scuola del gusto”, con il progetto “Un Molise Extra-Ordinario”, è entrato nel vivo del suo sviluppo, attraverso l’articolazione del primo modulo che vede l’olivicoltura, e tutte le problematiche relative, al centro dell’attenzione dei numerosi iscritti al corso. Dopo la prima lezione sugli aspetti generali del settore olivicolo, dalla propagazione all'impianto, passando per la gestione del suolo e delle fitopatie, fino alla raccolta, curata dal Prof. Panfilo D’Ercole, docente di Coltivazioni Arboree presso l’Istituto Agrario di Larino, è stata la volta del dott. Maurizio Corbo dell’ufficio olivicolo dell’Arsiam di Larino, uno dei massimi esperti di olivicoltura e olio in Molise. Dopo una prima lezione sull'olivicoltura in Molise, sulle caratteristiche delle 18 cultivar autoctone, sui relativi oli monovarietali come risposta alla globalizzazione e alla diffusione degli oliveti super-intensivi, seguirà una lezione pratica, presso l’azienda dell’Istituto Agrario di Larino, dove c’è l’unico campo catalogo delle varietà autoctone della Regione Molise, sulla gestione della chioma attraverso i principi della potatura a vaso policonico, di cui parleremo prossimamente. 

Maurizio Corbo durante la lezione al corso "Un Molise Extra-Ordinario"
La folta platea di corsisti, attenti e partecipi
Il funzionario dell’Arsiam ha innanzitutto fatto un excursus su com’è stata ottenuta la DOP Molise, che prevede l’utilizzo per almeno l’80% di olive di cultivar Aurina (o Licinia), Gentile di Larino, Oliva nera di Colletorto e Leccino e per il restante 20% da olive delle varietà autoctone Paesana bianca, Sperone di gallo, Olivastro e Rosciola, e sulle difficoltà di dimostrare, vista l’estensione su tutto il territorio regionale, delle caratteristiche pedologiche e climatiche omogenee, figlia anche di scelte politiche sbagliate, che ancora oggi pesano, come l’inesistenza di un Consorzio di tutela, indispensabile per una promozione efficace e non autoreferenziale. Una delle campagne di sensibilizzazione promosse dall’Arsiam, che è anche la più riuscita e che meglio avvicina il consumatore sulle qualità organolettiche dell’evo – l’extravergine d’oliva - è lo slogan “Amaro e piccante”, proprio a richiamare quelle che sono le due caratteristiche fondamentali che un extravergine deve possedere, che fanno riferimento alle caratteristiche del frutto, la drupa, essendo l’olio, un prodotto di estrazione e non di trasformazione. Per tale motivo, la valutazione qualitativa e merceologica va fatta proprio assaggiando l’olio, che è l’espressione del frutto, ossia amaro e piccante, cosa che purtroppo, a detta dello stesso Corbo, è sconosciuta a molti. 

Campagna di sensibilizzazione dell'Arsiam 

L’attività dell’Arsiam nel campo olivicolo, ha portato al recupero di materiale propagativo che, attraverso studi genetici, ha permesso di selezionare, nell’ambito del territorio regionale, ben 18 cultivar. La propagazione dello stesso, poi, non è stata di facile attuazione viste le difficoltà di attecchimento, dopo che sono stati provati diversi sistemi, dalla talea alla nebulizzazione, fino al successo dell’innesto ad opera dal CNR di Perugia, che ha permesso di costituire un campo catalogo delle varietà autoctone, impiantato attualmente presso l’azienda dell’Istituto Agrario di Larino, che sarà il centro di sperimentazione olivicola regionale. Questo è il germoplasma olivicolo presente nel campo catalogo: Aurina di Venafro, Cazzarella, Cellina di Rotello, Cerasa di Montenero, Gentile di Larino, Oliva Nera di Colletorto, Oliva di San Pardo, Olivastro di Montenero, Olivastro d’Aprile, Olivastro dritto, Olivetta nera, Paesana bianca, Paesana nera, Rosciola di Rotello, Rossuola, Rumignana, Salegna di Larino e Sperone di gallo. Delle cultivar e delle loro caratteristiche più importanti parleremo in un prossimo articolo.

Diffusione sul territorio regionale delle diverse cultivar (Fonte: Provincia di Campobasso Blog)
Le 18 cultivar autoctone molisane (Fonte: Provincia di Campobasso Blog)

Altro aspetto su qui si è soffermato il relatore, è la proliferazione degli impianti super-intensivi che, oltre a mettere a rischio il patrimonio olivicolo e paesaggistico con la diffusione di due sole varietà spagnole, l’Arbequina e l’Arbosana, che meglio si adattano a impianti di ridotte dimensioni, in modo da poter essere raccolti meccanicamente con scavallatrici-vendemmiatrici, produrranno una grande quantità di olio, di bassa qualità, a un costo bassissimo (3-4 euro è il costo a quintale per il super-intensivo contro i 30-40 euro di quello tradizionale). Queste varietà, infatti, in base al sistema di coltivazione, con potature meccaniche non razionali, perché non rispettano quella che è la fisiologia e le esigenze dell’olivo, una pianta eliofila che fa della luce la sua ragione di vita, si ritrova a produrre in condizioni precarie d’ombreggiamento e di sviluppo della chioma, tant'è vero che la sua vita produttiva si arresta dopo circa 15-20 anni, rendendo necessario un nuovo impianto, quando tutti sappiamo che l’olivo è una pianta secolare proprio perché beneficia del sole e della sua capacità di autogestirsi eliminando nel mese di settembre, con una cascola, i frutti che non riuscirebbe a portare a maturazione. Questo sistema di coltivazione, ormai diffusissimo in Spagna e in espansione anche nel nostro Paese, oltre a dare oli con basso contenuto in polifenoli, quelli responsabili delle caratteristiche qualitative dell’extravergine, anche come effetto dell’ombreggiamento, porterà alla “morte” dello stesso super-intensivo, secondo lo stesso Corbo, poiché l’Italia non sarà mai concorrenziale con la Spagna. Già ci sono prime avvisaglie in tal senso.

Scorcio di paesaggio olivicolo a Larino (sinistra) e oliveto super-intensivo (destra)
Il futuro del nostro territorio, della nostra storia, passa anche attraverso la gestione del nostro importante patrimonio olivicolo secolare, che è il nostro paesaggio predominante, attraverso una corretta opera promozionale, possibilmente sotto una guida unica, che potrebbe essere un Consorzio di tutela che unisca tutti i produttori, che permetta di dare una giusta retribuzione a tantissimi olivicoltori che, con fatica, sacrifici e, spesso, senza remunerazione adeguata, preservano il nostro paesaggio. Le multinazionali, anche quelle dell’olio, perché tali sono, stanno imponendo un sistema che è fallimentare e distruttivo in partenza, noi in Molise ne sappiamo qualcosa con l’obbrobrio “Gran Manze” che ritorna prepotentemente dopo il finanziamento Cipe. La difesa del nostro territorio, del nostro paesaggio olivicolo, delle nostre produzioni di qualità, che sono le nostre uniche ricchezze, è un dovere morale per tutti, soprattutto per chi governa questa Regione. Un grazie a Maurizio Corbo e all’Arsiam, che ritroveremo ancora durante il corso, per la loro opera di sensibilizzazione e impegno nella difesa e tutela del nostro prodotto principe, il filo della qualità, l’extra della salute e della prevenzione.

Scuola del gusto
scuoladelgustolarino@gmail.com




sabato 8 febbraio 2014

I CONTENUTI AMBIGUI DEL TERROIR

Nell'antichità il nome di un vino era l’espressione di un territorio, ma i suoi significati semantici erano legati soprattutto al suo utilizzo (per le cerimonie da simposio) o per i rapporti che quel territorio aveva con la divinità (Dioniso ed i vini di Tracia). Anche nel Medioevo i vini più famosi, le Malvasie, le Vernacce, il Vinsanto erano il risultato di operazioni commerciali legate ad un particolare territorio (il Mediterraneo orientale). Il termine terroir nella sua interpretazione recente è il risultato della classificazione dei climat borgognoni, fatta in base alla loro capacità di produrre vini di diversa qualità da parte del monachesimo benedettino medievale, ma diventa strumento di marketing solo verso la metà dell'’800 per il ruolo crescente della borghesia nella società francese e della politica commerciale anglo-olandese nel diffondere i vini atlantici (Porto, Sauternes). È l’innovatività del consumatore che decide finalmente il successo di un vino, non più il potere economico legato ai privilegi dei nobili.

Vigneti di Borgogna (foto Sebastiano Di Maria)
Sono i vini di Bordeaux i primi vini a comunicare la loro fama attraverso il nome di un territorio ben definito. Agli inizi del '900, con la delimitazione del territorio dello Chablis, la prima zonazione basata su riscontri oggettivi, vengono messe in luce le caratteristiche pedo-climatiche della zona di produzione e la loro influenza sulla qualità dei vini. Dove è l’ambiguità? La nascita delle denominazioni non avviene per la qualità del vino espressione di particolari condizioni ambientali, ma per gli aspetti legati alla sua commercializzazione ed alla sua notorietà. I terroir più famosi nel passato non erano quelli che consentivano la produzione di vini di qualità particolari, ma quelli che erano posti lungo le strade di traffico come la via Francigena (Borgogna), vicino ai porti di imbarco (Bordeaux, Vernazza), lungo i fiumi navigabili (Reno), attorno alle città (Milano e Roma, prima della ricostruzione post-fillosserica), dove cioè si poteva vendere il vino a basso prezzo perché non gravato dai costi elevati dei trasporti.

Fonte: Tre Bicchieri Gambero Rosso (Articolo a firma del Prof. Attilio Scienza)


lunedì 3 febbraio 2014

STORIA DELL'OLIVO E DELL'OLIO TRA MITI, LEGGENDE E SIMBOLOGIA

Giovedì 30 gennaio, presso l’Auditorium dell’Istituto Tecnico “San Pardo” di Larino, la Prof.ssa Giovanna Civitella ha tenuto a battesimo, con una lezione sulla storia e la diffusione dell’olivicoltura e dell’olio nelle diverse civiltà fino a nostri giorni, l’inizio del secondo percorso formativo della “Scuola del gusto”. Davanti ad una folta e attenta platea di corsisti, composta di studenti, produttori, curiosi e/o appassionati, ma anche da professionisti, la docente ha cercato di mettere in risalto quello che è stato, per millenni, il ruolo dell’olio e dell’olivo, tra miti e leggende, tra sacro e profano. L’olivo selvatico o olivastro, il progenitore dell’attuale Olea europea, c’è sempre stato nell’ultimo mezzo milione di anni, a intrecciarsi con la presenza dell’uomo, ma, la sua domesticazione, l’ha portato a fermasi nel luogo d’elezione, il bacino del mediterraneo, con le sue coste calde e asciutte, con i suoi climi miti e assolati. La domesticazione, così come per la vite, si pensa possa essere avvenuta non lontano dalla mezza luna fertile, la stessa che ha visto per prima la nascita dell’agricoltura e dell’allevamento, quella fascia fertile tra i fiumi Tigri ed Eufrate che si allunga fino al bacino del Mediterraneo.

La Prof.ssa Civitella durante la lezione

L’olio serviva agli Egizi per la mummificazione, serviva come medicina, per la pulizia del corpo, comunemente solo quella dei sovrani. Anche il popolo di Israele inserisce l’olivo nei suoi primordi, come raccontato nelle Genesi quando la colomba torna da Noè con una fronda d’olivo nel becco. Altre testimonianze della coltivazione dell’olivo e del commercio di olio tra Asia minore e Mediterraneo, risalgono al 2500 prima della nascita di Cristo, quando il Re Hammurabi, nel codice di leggi assiro-babilonesi, emana norma dettagliate sull’olio d’oliva come merce di scambio, per l’esterno, e pagamento delle tasse all’interno, oltre all’importanza sacrale dello stesso da parte dei sacerdoti babilonesi. A Creta, invece, nel palazzo di Cnosso (quello del mitico Labirinto di Minosse), sono emersi da scavi depositi di enormi anfore (Pithoi), adibite esclusivamente alla conservazione dell’olio; mentre a Festo, viceversa, sono stati ritrovati resti di torchi, presse e perfino tavolette d’argilla su cui erano registrati i luoghi di produzione e destinazione dell’olio. Il commercio marittimo di olio era, infatti, la base dell’economia dei Cretesi che lo esportavano in tutto il Mediterraneo, e particolarmente in Egitto. Proprio in Egitto, nella tomba di Ramsete III (1184-1153 a.C.) e in quella di Tutankhamon (1325 a.C.), si possono ammirare affreschi che riproducono vasi da olio e rami d’olivo e allo stesso Ramsete III si deve la decisione di far impiantare il primo oliveto (2700 ettari) per la produzione di olio destinato al culto di Ra (Osiride).

Mezza luna fertile

Con i greci l’olio assume un’importanza fondamentale nell’economia. Gli ateniesi ne fanno, insieme al vino, il centro della loro attività agricola, ma anche della loro cultura e della loro civiltà. E se il vino per i classici esalta la mente e si esprime nel simposio, l’olio cura il corpo e lo esalta nelle gare atletiche. L’olio unge i muscoli dei corridori e dei lottatori, d’olivo è la corona che adorna il capo dei vincitori e vasi d’olio sono il premio per la vittoria. Anche se l’olio era considerato un genere di lusso, tra le classi agiate ateniesi, se ne faceva un uso giornaliero notevole. È stato calcolato che un cittadino che frequentava il ginnasio consumava in un anno 30 litri di olio per l’igiene e la cura del corpo, 20 litri per l’alimentazione, tre litri come lubrificante e per l’illuminazione, mezzo litro come farmaco e un paio di litri per i riti sacri, come la purificazione e l’unzione dei corpi.

Unguentari Etruschi

Tra l’VIII e il V secolo a.C., la coltivazione dell’olivo e l’uso dell’olio si diffondono, dalle colonie costiere siciliane della Magna Grecia, nell’area centrale della penisola italica, specialmente tra gli Etruschi. Per gli Etruschi l’olio resta un genere di estrema rarità, costoso, uno status symbol. E poiché ogni ricchezza e identità etrusca finiva nelle tombe, anche l’olio aveva un’importanza fondamentale nei riti dell’inumazione ed è frequentissimo trovare preziosi contenitori da importazione nelle tombe degli uomini più importanti. È a questo punto che i Romani apprendono dagli Etruschi l’arte di fare il vino e l’olio. Sotto il regno di Tarquinio Prisco, Roma crescerà circondata da terre, dove si coltiva il grano, si cura la vigna, si raccolgono le olive. E su grano, vino e olio si fonderà la sua ricchezza e la sua forza. Furono proprio i Romani a esaltare l’uso alimentare dell’olio che fino a questo punto era sempre apparso secondario. E per quest’utilizzazione l’olio doveva essere buono, attraverso l’applicazione di tecniche e principi che ancora oggi sono di strettissima attualità.  La più antica è il Liber de agricultura o De re rustica di Marco Porcio Catone, che nel suo volume diceva testualmente “appena raccolte, bisogna subito estrar l’olio dalle olive, per evitare che si sciupi”. E proseguiva: “Pensa alle intemperie grandi che ogni anno avvengono e sogliono far cadere le olive. Se fai presto la raccolta, e i recipienti sono pronti, nessun danno da esse, mentre l’olio sarà più verde e migliore. Se rimangon troppo a terra o su un tavolato, le olive cominciano a putrefare e l’olio avrà cattivo odore”.

Magazzino con dolii

Tre secoli più tardi, Lucio Giunio Moderato Columella, nella sua Arte dell’agricoltura scriveva “tra tutte le piante l’olivo è quello che richiede spesa minore, mentre tiene tra tutte il primo posto”, ponendo l’accento sul fatto che l’oliveto costava poco e rendeva bene, concetto molto radicato tra i romani. Lo stesso autore, poi, spiegava che “quando le olive cominciano a cambiare colore e alcune sono già nere, ma la maggior parte ancora verdi, si dovranno cogliere a mano in una giornata serena, distenderle su cannicci o su stuoie e vagliarle e pulirle. Appena si sono mondate con diligenza, si portino subito al torchio”. Di un secolo posteriore a Catone è il letterato Mario Terenzio Varrone che, nel suo De lingua latina chiarisce l’origine della parola “olea” (oliva) dal Greco elaia e con sicurezza giudica l’olio di Venafro il migliore del mondo: “Al contrario in Italia cosa v’ha di utile che non solo non nasca, ma non venga anche bene? Quale olio (si potrebbe paragonare) a quello di Venafro?”, giudizio condiviso anche da altri scrittori e poeti dell’epoca.

I corsisti durante la lezione

Queste sono state solo alcune delle situazioni storiche che hanno legato l’uomo alla pianta dell’olivo e all’olio, simbolo di abbondanza, di benessere, di pace, di continuità nella rivelazione ebraico-cristiana, l’unico punto d’incontro delle religioni monoteiste del Mediterraneo. L’olivo e l’olio, come nei secoli passati, anche oggi devono essere strumenti d’unione e di crescita, soprattutto in Molise, dove le testimonianze storiche sono a portata di mano, Venafro e Portocannone su tutti (monumenti viventi), oltre alla sua straordinaria e ricca biodiversità.

Scuola del gusto


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