lunedì 30 luglio 2012

SOFT DRINK E SNACK UNA MODA CONTRO LA SALUTE

Rischia di diventare un ricordo di pochi il pane di grano duro o di grano tenero, che nutre solo con un filo d’olio, non è da buttare il giorno dopo e dura il tempo di essere rianimato con l’acqua per diventare pancotto o panzanella

Basta acqua, non importa se di sorgente o di lago; zucchero, non è dato saper se di barbabietola o canna; gas, tanto o poco secondo i gusti, e una buona, fondamentale campagna pubblicitaria, con testimonial credibili, perché tutto diventi un business per le multinazionali delle bevande. Uno straordinario business con profitti elevati che solo il tabacco è riuscito e continua a dare. Il soft drink (le famose bibite analcoliche che invece di togliere la sete la ingigantiscono grazie allo zucchero), che tanto piace e che tanto male arreca con l’obesità, il diabete e le malattie cardiovascolari, che entrano nell’elenco delle malattie croniche con costi altissimi per la società.



Basta una specie di rosetta che non sa cos’è la farina di grano; un hamburger cucinato su piastre continuamente unte di grasso bruciato; una foglia di insalata e una rotella di pomodoro, con a fianco patatine fritte poco prima refrigerate, per darti il senso della sazietà, una coca cola o qualsiasi altro soft drink, e la catena della distribuzione a livello mondiale di snack e/o soft drink è accontentata, anzi strafelice dei profitti, grazie anche a te, accumulati. Non solo ristoranti dalle grandi insegne e Autogrill, ma bar, anche del paese più sperduto, sono pronti ad offrirti uno snack e tu a mangiarlo invece di vomitare.
È la moda! Soft drink e snack, con o senza hamburger, sono mine contro la salute che, non ci vuole molto tempo, scoppiano senza neanche essere toccate.
Non c’è una nostra eccellenza, anche la più prestigiosa, a fare da copertura che possa limitare o annullare queste mine frutto di modelli alimentari che, grazie anche agli occhi entrambi chiusi degli esperti e delle istituzioni sanitarie e della politica, si sono diffuse sul mercato globale e continuano ad assorbire risorse, soprattutto nel campo sanitario, e, insieme, culture. La verità è che l’unico obiettivo è il profitto e, come nei casi descritti, facile e ingente.
Dell’alimentazione e, soprattutto, della salute delle persone a queste “benemerite” società multinazionali, come a quelle della chimica o delle medicine, non gliene frega proprio niente, avendo in mano una delle attività più redditizie al mondo (bassissimo costo di produzione; facile conservazione e un prezzo di vendita esagerato che, bisogna dirlo, è accettato dal consumatore nel momento in cui continua ad acquistare il prodotto).



Lo stesso consumatore che ha da ridire sul prezzo del pane buono; non è disponibile a spendere per un buon olio extravergine di oliva e trova molto caro il vino, anche perchè quello della quotidianità è stato da qualche tempo abbandonato dagli stessi produttori, lasciando spazio a vini per un’elite di consumatori e, così, ai soft drink e altre bevande con o senza alcol.
Rischia di diventare un ricordo di pochi il pane di grano duro o di grano tenero, che nutre solo con un filo d’olio, non è da buttare il giorno dopo e dura il tempo di essere rianimato con l’acqua per diventare pancotto o panzanella o acqua sale, ripieno di una melanzana o di un peperone, una seppia o di un totano.
Lo stesso discorso vale per l’olio extravergine di oliva che è, con il suo olivo, paesaggio e tradizione prima ancora di essere il filo conduttore dei sapori che arrivano con i piatti sulla tavola; alimento sano con le sue proprietà nutritive e antiossidanti oltre che condimento. L’elemento principe in quanto a salute e benessere che, ne sono testimone, tutti i bambini adorano e, soprattutto quelli che lo assaggiano per la prima volta o raramente, ne vanno pazzi. Un fatto importante ignorato dalle istituzioni, i produttori e la gran parte dei genitori, che, in questo modo, trovano naturale rifugiarsi nelle merendine o negli snack, nei soft drink pensando di accontentarli.
Il consumatore (anche chi scrive) si lascia guidare dalla pubblicità, dai super o ipermercati e, così, si adatta al modo e al tipo di offerta fino a abituarsi alla stessa, non sapendo che è contro il suo patrimonio di risorse – in primo luogo il territorio – e contro la sua salute, se è vero, com’è vero, che essa dipende molto da una corretta e sana alimentazione. Un atteggiamento che spiega che queste multinazionali, come la finanza, sono virus che una volta entrati dentro di noi non sappiamo più come espellerli.



C’è di che preoccuparsi del ruolo delle multinazionali, in particolare di quelle che operano nel campo alimentare per il rapporto che esse hanno con la nostra salute, ben sapendo che possono conquistare il cuore e la mente di ognuno, perfino di chi, se non vuole contraddire il proprio ruolo nel campo della produzione o della difesa della qualità e delle origini di questo o quel prodotto, dovrebbe contrastarle.
Sono questi soggetti, proprio perché insospettabili, ideali per le campagne e le conquiste delle multinazionali che conoscono bene il gioco del “tu dai una cosa a me (il mercato, il profitto, la libertà del consumatore) ed io do una cosa a te" (un po’ di notorietà, di soldi, o, in alcuni casi, anche la carriera politica.
Intanto le conseguenze sono, come si diceva all’inizio, le malattie croniche che si diffondono a dismisura quali l’obesità, il diabete, le malattie cardiovascolari e lo spreco di risorse come la buona agricoltura, la ruralità, la biodiversità, che sta riducendo ai minimi termini il territorio e, con esso, la nostra identità.
(pubblicato su Teatro Naturale)

di Pasquale Di Lena



giovedì 26 luglio 2012

BERE VINO FA DAVVERO MALE?

Non nascondo che trattando, con quest’articolo, un argomento di stretta attualità e pieno d’insidie, con l’obiettivo di fare un po’ di chiarezza, si corra il rischio di incappare in scivoloni o creare allarmismi, perché tale è lo stato dell’arte, frutto di scontri dialettici, e non solo, tra addetti al settore e responsabili di sanità pubblica, tra estimatori e detrattori, tra fautori e puritani. Non parlo di politica, né tantomeno di economia, ma di qualcosa che, nel bene o nel male, a diverso titolo, appassiona e avvicina sempre più gran parte dei consumatori a un mondo nuovo, ricco di mille sfaccettature, che ci riporta, se vogliamo, alle origini e alla riscoperta e/o rivalutazione della terra e dei suoi frutti, fatta di territori straordinari ed esempio di laboriosità e passione. Naturalmente mi riferisco al vino e alla sua ascesa come “status symbol” del bel paese, non tanto quanto protagonista sulle nostre tavole ma piuttosto come simbolo del turismo enogastronomico, vero motore della vacanza Made in Italy nel periodo di crisi. A dire il vero, chi ha avuto modo di leggere i miei articoli sul blog o sul Ponte online, si renderà conto che parte di quello che scriverò nelle prossime righe, è stato già affrontato in diversa misura e sviscerato in modo da renderlo comprensivo ai più, dalla nuova normativa sul vino biologico, sul dualismo tra vini convenzionali e vini naturali, sulle nuove frontiere della vinificazione in assenza di solfiti ecc. Un aspetto che ancora non avevo trattato in maniera organica, anche se non sono mancati, come dicevo, accenni in diversi articoli, è quello che riguarda l’effetto del consumo del vino sulla salute del consumatore, dagli effetti dell’alcool fino a quello dei vari elementi presenti, frutto del normale processo fermentativo o da aggiunte di coadiuvanti tecnologici. In realtà avevo già in mente di affrontare di petto questo tema spinoso nei mesi scorsi, dopo il polverone innalzatosi dal messaggio di Jonathan Nossiter, regista del documentario Mondovino, che sul magazine GQ definiva “tossico” un vino non naturale con tutti i risvolti che la cosa ha portato. Tra quelli che ho seguito con maggiore attenzione, perché ricco di spunti e argomentazioni, anche se estremamente tecnicistico, c’è quello scritto dall’amica Anna Pancheri su Trentino Wine Blog che invito tutti ad andare a leggere: “Se il vino è veleno la disinformazione uccide”. Tralasciando il discorso degli effetti dell’alcool sulla salute del consumatore a luoghi e con interlocutori più consoni, cui purtroppo il vino non si sottrae come bevanda alcolica (solo 13-14% di alcool in volume), anche se ingiustamente colpevolizzato e additato da detrattori come simbolo di tutti i mali, cerchiamo di capire quali sono i punti critici di una produzione che, dopo la mezza “bufala” sugli effetti "miracolosi" di polifenoli e resveratrolo, possono essere pericolosi per l’uomo. L’onda emotiva che agita il settore, riassumibile con la crescita del fronte “bere naturale”, non si è placata, anzi, proprio in questi giorni è stato pubblicato un articolo sull’Espresso dal titolo “Puro come vino” (che centri qualcosa il metodo Purovino di qui ho parlato nel mio blog?), che cerca di tracciare delle linee guida su come bere senza pericoli. La lettura dello stesso è servita come spunto per la quadratura del cerchio su una serie di concetti espressi negli articoli precedenti, grazie al contributo, questa volta, di massimi esperti del settore. Andiamo per gradi e cerchiamo di comprenderne al meglio i contenuti.



L’introduzione è di quelle che non lasciano respiro, “tutto fuorché una spremuta di uva invecchiata e profumata”, ponendo l’accento su quelle che sono il numero delle sostanze “chimiche” naturalmente presenti o aggiunte in vinificazione, ben oltre 600. E via giù con un elenco di quelle più comuni, da enzimi e lieviti, naturalmente presenti sull’uva, in generale, ma che nella comune pratica sono aggiunti, opportunamente selezionati e purificati, in base all’obiettivo enologico da raggiungere, aggiungo io, per finire ad alcuni coadiuvanti tecnologici indispensabili per l’estrinsecarsi delle qualità di un vino, dalla migliore DOC fino al vino biologico, ossia sostanze stabilizzanti (chiarificanti proteici o minerali, gomma arabica), antiossidanti (solforosa, tannini, glutatione), esaltatori di aromi e colore (complessi enzimatici), antischiumogeni (lieviti selezionati anche se detto così ha fatto paura anche a me) e così via. A dipanare la matassa ci pensa uno dei massimi esperti nazionali in materia vitivinicola, il Prof. Mario Fregoni, già Ordinario di Viticoltura presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, che sentenzia: “il vino migliore è quello naturale, ossia quello cui non si aggiunge nulla che non sia già presente”, anche se la dicitura “vino naturale”, aggiungo, non esiste come categoria merceologica e pertanto l’eventuale qualifica a fini commerciali è una forma di frode. Ed ecco quindi ripresentarsi il tema dell’etichettatura che, secondo l’autore dell’articolo sull’Espresso, rappresenta il “vero salvavita” per il consumatore, ma che vista la complessità risolverebbe solo in parte la problematica, com’è stato per i solfiti, di cui ritengo debba essere aggiunto in etichetta la quantità presente (utopia?). Per i vini prodotti e/o imbottigliati dall’1 luglio 2012, inoltre, scatta l’indicazione in etichetta degli allergeni (derivati di latte e/o uova) contenuti nei coadiuvanti enologici utilizzati durante la fermentazione e l’affinamento dei vini allo scopo evitare torbidità e fenomeni ossidativi.

Simboli da mettere in etichetta (OIV)

Il vero nodo cruciale, sempre secondo l’autore, sono i solfiti, fondamentali nel processo fermentativo, presenti anche naturalmente perché generati dalla normale attività fermentativa dei lieviti, che sono, come precisa Cinzia Le Donne, nutrizionista dell’Istituto Nazionale per la Ricerca sugli Alimenti e la Nutrizione,responsabili di possibili reazioni pseudo-allergiche, in particolar modo nei soggetti asmatici, particolarmente sensibili, che possono manifestare crisi respiratorie mentre nelle persone non asmatiche i sintomi possono essere soprattutto cutanei e gastrointestinali”. In effetti, se la quantità supera i 10 mg/l sulla bottiglia, deve essere indicato “Contiene solfiti” (dir. 2003/89/CE, recepita in Italia con d.lgs. 114/2006) e, anche per un vino prodotto in maniera naturale (senza aggiunte), spesso tale limite è raggiunto e anche l’indicazione “senza solfiti aggiunti” potrebbe non essere risolutiva perché difficilmente dimostrabile. In sintesi, come sostenuto dal sottoscritto, anche la nutrizionista dell’INRAN pone l’accento sulla necessità di indicare in etichetta il residuo contenuto in bottiglia, in modo da comprendere se ci sono pochi grammi o decine di volte tanto, anche perché c’è da tener conto della Dga, la cosiddetta “dose giornaliera ammissibile”, che non va superata anche alla luce della presenza dei solfiti in altre bevande e cibi (aceto, frutta secca). Purtroppo, anche la normativa sul vino biologico non ha posto un freno a tale pratica, lasciando, di fatto, dei limiti ancora molto alti, come avete avuto modo di leggere nei miei precedenti articoli e che invito eventualmente a rileggere per completezza d’informazione.
Altro aspetto, come già anticipato, è quello degli allergeni da indicare in etichetta dall’1 luglio (in quantità superiore a 0,25mg/l) in seguito ad attività di chiarifica del vino, che per alcuni esperti rappresenta un discorso di lana caprina, vista l’eventuale presenza in tracce dopo i normali cicli di filtrazione, mentre il problema potrebbe sussistere, eventualmente, per quelli non filtrati (Svizzera e Canada sono di quest’avviso). Sulla base della documentazione scientifica e delle ricerche disponibili, però, non si è potuto escludere con certezza la presenza nel vino di residui di albumine e caseine, anche dopo i normali processi di filtrazione cui il vino è sottoposto, tali da provocare reazioni avverse, pur deboli, in soggetti allergici a latte e uova. La norma, contenuta nel regolamento UE n. 1266/2010 (direttiva 2007/68/CE), prevede, quindi, l’indicazione della presenza di derivati del latte o delle uova utilizzati nel processo tecnologico del tipo “contiene uovo o derivati dell’uovo”, “contiene lisozima da uovo” o ancora “contiene derivati del latte o proteine del latte”. Molti produttori, per evitare allarmismi, preferiranno usare altre sostanze chiarificanti (consentite) di origine minerale o gelatine a base di colla di pesce, per le quali non è previsto alcun obbligo di indicazione.

Additivi nel bicchiere (da l'Espresso: "Puro come il vino")
Dei discorsi a parte, infine, meriterebbero le contaminazioni esterne dovute a residui di antiparassitari o ad aflatossine prodotte dal metabolismo delle muffe di cui mi limiterò a un semplice accenno, riservandomi, se possibile, una trattazione più organica e comprensibile in altri articoli. Per quanto riguarda il discorso antiparassitario, con l’applicazione delle tecniche di lotta integrata, basata sull’alternanza e la complementarietà di metodi chimici, fisici e biologici, oltre alla “selezione di specie più resistenti, conversione delle macchine irroratrici e tecniche di viticoltura di precisione (attraverso modelli matematici) si ha la possibilità di ridurre l’uso dei fitofarmaci solo quando indispensabili”, come sostenuto dal Prof. Stefano Poni, Ordinario di Viticoltura all’Università del Sacro Cuore di Piacenza.
Per quanto riguarda le micotossine, invece, il problema è di carattere generale giacché riguarda molte derrate alimentari (caffè, birra, insilati di cereali come mais e grano) e il vino non si sottrae da tale logica, anche se il relativo contenuto è notevolmente inferiore (fino a 150 volte) rispetto agli altri alimenti. L’OcratossinaA (OTA), prodotta principalmente da muffe appartenenti ai generi Aspergillus e Penicillium, cui si aggiunge la nuova categoria delle fumonisine (FBs), può derivare da attacchi massici di oidio o di botrite alla vite. Essendo, quindi, strettamente legata alla sanità delle uve, il rischio si riduce perché da uve pessime difficilmente si può ottenere un buon vino. Nel settore enologico c’è molta attenzione sulla questione e in diverso modo si sta operando per un controllo efficace, sia in campo agronomico sia enologico.
Per terminare, alla luce di quanto sopra, com’è possibile individuare un vino di bassa qualità? Innanzitutto il consumatore può affidarsi ai marchi certificati come le DOP, sulle quali i controlli sono severi lungo tutta la filiera, perché nessun produttore oggi può permettersi il danno derivante da frodi, truffe, intossicazioni, spiega ancora il Prof. Mario Fregoni, finendo che per il prezzo è meglio diffidare di quelli troppo bassi trattandosi, di fatto, di vini ottenuti da vinacce comprate chissà dove e poi trattate anche con procedimenti illegali come l’aggiunta di zucchero”. Tutto giusto, per carità, ma personalmente non andrei alla cieca e non trascurerei le visite alle cantine e delle belle chiacchierate con i produttori, meglio se piccoli e vignaioli, perché prodotti di qualità ci sono anche a prezzi contenuti e viceversa. Bere consapevole fa buon sangue, purché con moderazione. Prosit.


Sebastiano Di Maria
molisewineblog@gmail.com


sabato 14 luglio 2012

LARINETNICA: ARRIVA LA SESTA EDIZIONE

La VI edizione della Larinetnica si svolgerà a Larino (CB) il  5 agosto 2012 . La manifestazione sarà a cura dell’Ecomuseo Itinerari Frentani e darà la possibilità ai visitatori del Molise di effettuare un “viaggio” nella storia, nella cultura, nei sapori, nelle tradizioni, nell’oralità popolare della nostra terra. Per la realizzazione della manifestazione con l’Ecomuseo Itinerari Frentani collaboreranno la Pia Associazione Carrieri e la Pro Loco di Larino. La Larinetnica prevede, alle ore 10.00, ma solo su prenotazione entro il 4 agosto 2012, visite guidate tra siti archeologici della splendida Larinum, un percorso nei monumenti del centro medioevale, tra cui la meravigliosa Cattedrale e l’immersione nella cultura popolare dell’area. Nella manifestazione, dalle ore 19.00 del 5 agosto 2012,  è inclusa la IV edizione della” Rassegna delle Carresi”, ideata dall’Ecomuseo Itinerari frentani, dal 2010 è organizzata dalla Pia Associazione Carrieri di Larino .
Fonte: Ecomuseo Itinerari Frentani
Nella “ Rassegna delle Carresi” sfileranno per le vie di Larino i carri addobbati a festa e trainati da buoi che caratterizzano diverse feste dei centri del “ Larinese” , tra cui la meravigliosa e imponente festa di San Pardo. La Rassegna delle carresi è una sorta di museo dinamico, dove con l’aiuto di esperti, i visitatori, immersi nei colori, suoni e atmosfera delle carresi, avranno modo di acquisire conoscenze legate agli aspetti demologici e religiosi di queste splendide tradizioni. In serata è previsto la proiezione del recente film-documentario, di Giuseppe Mammarella, con cenni relativi a notizie storiche sulla Larino romana, medioevale e moderna e ricchi riferimenti alla festa di San Pardo. Nella manifestazione, dalle ore 17.00, sono previsti l’esposizione dei gioielli di Alessandra Mancinelli e di altri artisti-artigiani, l’esposizione degli strumenti musicali di Pino Iove, un laboratorio artigianale per apprendere a realizzare i fiori di carta di San Pardo e con cui, a Larino, vengono addobbati i circa  130 e meravigliosi carri che sfilano per le vie del paese il 25 e 26 e 27 maggio, e un corso di danza popolare sulla Spallata Molisana e sulla Tammurriata.
Fonte: Ecomuseo Itinerari Frentani
In serata per concludere questo suggestivo viaggio nell’animo delle genti frentane  saranno protagonisti i canti, i suoni, le danze del Molise Frentano con l’intervento dei seguenti gruppi:  I Cantori della Memoria di Larino, Musicando di Santa Croce di Magliano, “Dove vanne ne venne” di Colletorto, inoltre, come elemento di contaminazione e di confronto verranno eseguiti anche brani dell’area vesuviana grazie al gruppo “ A Perteche” di Pino Iove . (Il servizio Ristoro sarà garantito da Casablanca musiclub e Cuore del Gusto). La Larinetnica darà ai cittadini del posto la possibilità di immergersi negli elementi della propria identità culturale, ai visitatori della nostra regione di conoscere meglio un angolo molisano che è scrigno di risorse e di bellezze.
Per info: www.itinerarifrentani.it, per prenotazioni visite guidate e laboratori: 3406550584
Marcello Pastorini (Ecomuseo Itinerari Frentani)




giovedì 12 luglio 2012

QUANDO LA DEGUSTAZIONE DIVENTA POESIA: LA FLEMMA DI CHI NON TEME DI MOSTRARE LE PROPRIE NUDITA'



L’intrico limpido dei profumi, ottimamente scandito e coinvolgente, mi sorprende per classe e portamento: bellamente ciliegioso, con quella nota mineral-ferrosa a donare contrasto e profondità, se ne esce da un naso fresco e colloquiale, carnoso e profilato.
Al palato il vino mantiene compostezza, anima e disegno, con una dolcezza tannica invidiabile. Ad unire personalità, appigli territoriali e garbo espositivo, ecco poi cosa succede: una delle migliori Riserve dei ricordi miei! Grande godibilità e naturalezza espressiva, di vino succoso ma trattenuto negli accenti, con la flemma di chi non teme di mostrare le proprie nudità, mantenendo altresì intatta la proverbiale, rigorosa sua compostezza. I tannini qui sono trama sottile, la compagnia generosa e bella. I classici umori boschivi, dal tratto “nordico” e compassato, vengono rilasciati con calore e temperamento rari, e contribuiscono da par loro a riscoprire, nelle intimità di un vino di stampo tradizionale, una identità fiera (ancor oggi latitante in troppi vini della nobile denominazione toscana) nella quale l’anima del sangiovese (con due briciole di colorino e canaiolo a contorno) torna a brillare di luce propria, senza tentennamenti, senza costrizioni, senza filtri. Non una incertezza, non una reticenza (e una eclatante pulizia d’impianto, contrariamente ad alcune edizioni del passato per le quali la presa del rovere, fors’anche la qualità, non poteva dichiararsi integerrima). Questa nuova selezione della famiglia Contucci scopre amorevolmente le proprie carte, stabilisce distanze e comunica autenticità. L’eloquio appare chiaro e il messaggio saggiamente ammonitore, dal momento in cui il mandato territoriale affidatogli viene qui onorato con singolare nettezza. Nel frattempo, l’immedesimazione è totale.
A 25 euro o giù di lì il conforto di una visione: quella di un vino che respira storia (quasi la trasuda) e ti ripaga in dignità e bellezza. Sì, Montepulciano ha figli legittimi.


Fonte: L'AcquaBuona, Vino Nobile di Montepulciano DOCG Riserva 2005 – Contucci


Balanço - More (1999)

NB Per una lettura migliore della scheda si consiglia questo brano come sottofondo


mercoledì 11 luglio 2012

IL FUTURO DEL MOLISE, VERDE E BIOLOGICO

Invitato a parlare all’interessante incontro “Molise futuro prossimo”, ho iniziato il mio intervento dicendo che solo se si ha la capacità di ripartire dal territorio è possibile progettare e programmare il futuro del Molise che, per quanto mi riguarda, non può che essere “verde e biologico”. Si tratta di progettare per l’intero territorio molisano un’“AGRICOLTURA BIOLOGICA” che ha lo scopo di voler ridare al settore primario quel suo ruolo di centralità per uno sviluppo sostenibile e di cogliere i valori della modernità e dell’attualità, nel momento in cui essa afferma, e realizza, i valori della ruralità. Valori fondamentali per il rinnovamento dell’agricoltura e per il rilancio del Molise che, nei decenni passati, ha saputo più sprecare che spendere le ingenti risorse messe a disposizione dallo Stato e dall’Europa, invece di renderle investimento per il futuro. L’idea parte dalla realtà e, in tal senso, dal patrimonio che questa realtà esprime con le sue risorse e i suoi valori. Si tratta di cogliere queste risorse e questi valori propri del territorio molisano e di spenderli sul mercato per avere valore aggiunto da reinvestire sullo stesso territorio e, così, salvaguardarlo, tutelarlo, promuoverlo e, come prima rilevavo, spenderlo. In particolare, si vuole cogliere del Molise la sua grande vocazione agricola e rurale per trasformarla in una grande opportunità di rinascita del territorio e delle sue risorse storico – culturali, paesaggistico – ambientale, produttive e, non meno importanti, quelle legate alle tradizioni e all’ospitalità.

Scorcio del lago del Liscione

Sono i dati ad affermare l’importanza e la centralità dell’agricoltura: 11 mila aziende attive (dati 2011) sulle 32 mila complessive operative nel Molise. In pratica il 30% delle imprese attive in tutti i settori, con le attività commerciali che seguono a distanza (7.2599), le costruzioni (4.112) e, ancora più lontane, quelle manifatturiere (2.460), a significare il peso decisivo dell’agricoltura nell’economia regionale. Non partire da questo settore vorrebbe dire non tener conto della realtà che si vuole sostenere per trasformarla e, con essa, trasformare l’intero Molise per proiettarlo nel futuro, con un indirizzo produttivo – lo ripeto- sostenibile e compatibile, intorno al quale far crescere e ruotare l’insieme delle attività e dare, così, una risposta forte al bisogno di occupazione, soprattutto dei giovani e delle donne. Una scelta che permette di vivere l’era della conoscenza, che ha posto fine al periodo della centralità dell’industria, e che sta mettendo in crisi il consumismo esasperato, ciò che porta a pensare al bisogno di rivedere lo sviluppo che ha caratterizzato i periodi precedenti e, in particolare, quello che va dalla ricostruzione degli anni cinquanta ai giorni nostri. Ogni giorno si registrano segnali che portano a pensare che il mondo sta cambiando con una velocità che neanche gli esperti più avveduti erano riusciti a prevedere. Le carenze energetiche e il costante aumento dei costi del petrolio; il ritardo registrato dalle energie alternative; il problema dei rifiuti; gli squilibri tra il nord ed il sud del mondo; la carenza di acqua e i rischi che corrono il paesaggio e l’ambiente con la perdita della biodiversità, sono solo una parte dei grandi problemi che assillano il mondo. L’agricoltura, proprio perché cibo, ambiente, paesaggio, qualità e tipicità, è una risposta alta a questi problemi e alle domande che il consumatore pone al mondo della produzione, della trasformazione, del commercio e ai governi delle istituzioni, ai vari livelli. Tanto più un’agricoltura in un territorio vocato come quello del Molise, che può ricavare dalla sua conversione totale in biologico, un importante ed efficace valore aggiunto dai mercati dei Paesi più ricchi, dove ogni giorno nascono catene di negozi specializzati nella vendita dei prodotti organici. Una realtà, quella della domanda di prodotti biologici, in forte crescita che fa pensare al bisogno solo di organizzare l’offerta per rispondere con le quantità, oltre che con la qualità, ai bisogni di un numero sempre più numeroso di consumatori e, per di più, di ogni parte del mondo. Una grande occasione per l’esportazione dei nostri prodotti e un’opportunità per trasformare il territorio in un giardino di olivi e viti di alberi da frutta e di ortaggi e seminativi, che serve ancor più a dare immagine e valorizzare, ai fini turistici, un territorio integro sotto l’aspetto ambientale e bello sotto quello paesaggistico. Si tratta dell'intero territorio del Molise ad essere interessato e ciò dà la possibilità alle aziende di vivere il mercato globale e, nel contempo, un mercato di consumatori che possono trasformarsi in turisti che sentono la necessità di conoscere e visitare il territorio di origine dei prodotti acquistati. Un doppio vantaggio, a significare che la trasformazione della principale attività, l’agricoltura, porta a dare risposte di reddito e di vita non solo ai suoi protagonisti ma, anche, a chi vuole sviluppare altre attività indotte da questa rivoluzione del principale settore economico del Molise. Altri vantaggi sono la salvaguardia e la tutela dell’ambiente e del paesaggio, cioè la sostenibilità, e, insieme, la valorizzazione delle risorse che il territorio esprime.

Alba su paesaggio agricolo molisano

Un Molise che va, con la sua agricoltura biologica, a segnare e affermare due centralità entrambe di grande attualità e, nel momento in cui si proiettano nel futuro, di assoluta modernità: l’agroalimentare, la ruralità e la sostenibilità. In questo modo lo sviluppo di un Molise arricchito di percorsi del gusto e delle bellezze, delle sorgenti e delle fontane, dei castelli e delle rocche, delle chiese e delle cattedrali, delle case in pietra e dei palazzi nobiliari, dei monti e del mare, delle feste e delle tradizioni. Un Molise sempre più verde e biologico, che apre anche ad altri progetti e ad altre possibilità di coinvolgimento dei molisani:
- la riscoperta del tempo quale straordinario e primario valore;
- il recupero dei piccoli centri, soprattutto quelli storici, e delle attività artigianali e commerciali che l’hanno sempre animati;
- una casa regionale della cultura del gusto e/o un’Enoteca regionale;
- la realizzazione di una rete di siti che richiamano la lunga storia dell’emigrazione e che, una volta collegati, possono creare interessanti circuiti atti a richiamare i discendenti dei nostri emigranti;
- la nascita di luoghi dove dare spazio alle innovazioni; una “banda larga” che mette il Molise in contatto con il mondo;
- l’organizzazione delle feste e delle tradizioni in un sistema capace di trasformare ognuna di esse in fattore di promozione e di sviluppo, soprattutto turistico;
- la creazione di filiere agroalimentari con la nascita di un nuovo associazionismo dei produttori;
- lo sviluppo di fattorie sociali e di quelle didattiche; l’Università dell’olivo e dell’olio e l’Olivoteca d’Italia e tante altre iniziative ancora, tutte all’insegna di un Molise biologico.
Sogni che servono alla pesante crisi per essere superato e vinta al più presto. Sogni che meglio rispondono a una comunicazione vincente del Molise; alla domanda di occupazione e alla voglia di restare dei nostri giovani. Certo, sogni che si possono realizzare solo se la classe dirigente del Molise ha la sensibilità di cogliere le peculiarità di questa nostra terra e la capacità di organizzarle e di spenderle e valorizzarle, in modo da rendere il Molise esempio che altri devono prendere in considerazione, se vogliono vivere la vita con il gusto della sobrietà e l’orgoglio della propria identità.

Pasquale Di Lena

lunedì 2 luglio 2012

MOLISE FUTURO PROSSIMO

Alla “tre giorni” promossa dalla rivista “il bene Comune” nella Sala della Costituzione della Provincia di Campobasso, è stato sottolineato da più parti il valore ed il significato del Territorio e la necessità di ripartire da esso se si vuole assicurare un futuro al Molise.
C’è da dire che, pur trovando molto interessante l’iniziativa per il Molise e per la situazione di pesante crisi che solo uno sforzo d’idee e di sogni può risolvere, una tre giorni non basta, ce ne vorrebbe una ogni settimana.
Uno sforzo di riflessione di gruppo sulla condizione di questa nostra piccola grande regione che, per le sue dimensioni e la sua fragilità politico-amministrativa corre rischi maggiori di altre, e, che più di altre ha bisogno di tracciare un suo percorso completamente opposto a quello attuale. Se la sovrastruttura di questo percorso ha bisogno, come ho già detto, d’idee e sogni, la struttura non può che essere il territorio molisano.


Un territorio, per fortuna, ancora ricco di ruralità e di agricoltura, di ambienti e paesaggi, storia e cultura, antiche tradizioni, che possono, tenendo conto anche delle modeste dimensioni dello stesso, far pensare a una crescita innovativa, ecosostenibile, in grado di dare occupazione; a una razionalizzazione e modernizzazione dei servizi; a una informazione come bene comune al servizio dei cittadini e della partecipazione democratica.
Una “tre giorni” d’intenso dibattito con personaggi di rilievo, ricercatori ed esperti, che hanno dato un contributo notevole al raggiungimento degli obiettivi di questo primo incontro e mostrato il valore di una scelta, che ha la necessità di ripetersi per diventare un vero e proprio laboratorio d’idee, un momento di creatività che serve per costruire il futuro, da domani.


Idee e creatività che, salvo encomiabili eccezioni, non fanno parte del patrimonio politico-culturale di una classe dirigente (non solo politica) che ha pensato allo sfruttamento delle risorse, arrivate copiosamente da Roma o da Bruxelles, più per sistemare il bilancio personale e familiare, quasi mai per contribuire a costruire il futuro di questa nostra regione, e, nel caso della politica, per spartire queste risorse e distribuirle al solo fine di accaparrarsi i consensi per la propria sopravvivenza politica.
Una cultura radicata da tempo che non riguarda solo una parte ma la sua totalità, per niente facile estirpare se non attraverso un’attenta analisi della realtà e la ricerca di soluzioni alternative.
Per un “Molise futuro prossimo” c’è bisogno di una classe dirigente all’altezza del compito, cioè capace di sviluppare con passione e professionalità il suo ruolo nella ricerca, certo, di un utile personale ma, prima ancora, di quello della collettività; progettare e programmare il futuro di questa nostra regione dove i giovani hanno smesso di pensarlo, visto che sono costretti a partire per non rimanere disoccupati per tutta la vita.
Una classe politica soffocata dalla logica del favoritismo in cambio del voto non ha niente da dare –come l’esperienza di questi anni dimostra - al futuro prossimo del Molise, se non quello di far crescere i rischi di svuotamento delle potenzialità che questa nostra regione ha.
Ieri, venerdì, la chiusura di questo “brainstorming” che ha bisogno di un’attenta valutazione per definire e assicurare la sua continuità perché possa diventare uno (spero di tanti) strumento di stimolo per un rinnovamento reale della classe dirigente che è così nel Molise, come altrove, frutto dei tempi che viviamo e di un sistema che è fallito e, come tale, impossibile da aggiustare.

C’è da pensare subito a dare le basi a un altro sistema, che, forte dell’esperienza maturata, tenga conto dei limiti imposti dalla natura e dal rispetto che essa merita. Una necessità se vogliamo continuare a respirare aria sana; a bere acqua pulita; ad avere cibo di qualità legata al territorio, cioè all’origine; godere il paesaggio e la ricchezza della sua biodiversità; avere la cognizione del tempo; vivere la diversità e contrastare l’idea di un livellamento, soprattutto culturale delle genti, dei popoli; conservare il nostro dialetto, la nostra lingua e tutti gli altri segni della nostra identità.
Queste e altre riflessioni che meritano il confronto, l’approfondimento; di essere comunicate perché la loro diffusione semini cultura. Essa è indispensabile per governare una realtà come il Molise che ha tutto per essere uno straordinario laboratorio e, soprattutto, un esempio per altre regioni, altre realtà, nel momento in cui il percorso di un “Molise futuro prossimo” è iniziato.



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