venerdì 29 novembre 2013

IL PECORINO VA IN ALTURA

Si tratta di un'interessante sperimentazione per il recupero delle aree marginali interne, individuando nuovi areali per la coltivazione della vite, come risposta ai mutamenti climatici in atto, oltre a riscoprire le antiche radici di una viticoltura passata. Percorso che anche il Molise dovrebbe adottare.

L’Abruzzo del vino, per mezzo di Feudo Antico, giovane azienda nata per valorizzare la vocazione enologica del piccolo e storico territorio di Tollo, si appresta a raccogliere i primi frutti di una sperimentazione che, attraverso l’ausilio tecnico dell’equipe guidata da Attilio Scienza dell’Università di Milano (la stessa che sta portando a termine anche la zonazione della relativa Doc Tullum, ndr) ha portato in altura la coltivazione del Pecorino, uno dei suoi vitigni autoctoni, quello che meglio si adatta a condizioni climatiche estreme. Il progetto “Vigneto Casadonna”, nato dalla partnership tra l’azienda tollese e la tenuta dello stellato chef Niko Romito, ubicata nel Comune di Castel di Sangro (Aq) a 860 metri sul livello del mare, è, di fatto, il vigneto sperimentale più alto del centro e sud Italia, un laboratorio di sperimentazione del gusto e dell’accoglienza, che Feudo Antico vuole utilizzare come elemento di valorizzazione paesaggistica e recupero delle aree marginali interne, dove si sono perse le tracce di una viticoltura passata. “Il progetto - sottolinea il direttore generale, Andrea Di Fabio - nasce dall’esigenza, attraverso la viticoltura eroica, di dare una risposta, attraverso il controllo del territorio, al mantenimento del tessuto sociale scongiurando il rischio di abbandono delle aree interne”.
Vigneto Casadonna

L’altro aspetto, sicuramente non meno importante, che si è potuto cogliere nelle parole dello stesso Di Fabio, che è poi anche la mission della piccola azienda tollese, figlia dell’accordo delle due realtà cooperativistiche più importanti della piccola denominazione, il colosso “Cantina Tollo” e la “Cantina Coltivatori Diretti”, è la possibilità, come la definisce il Presidente della denominazione, Giancarlo Di Ruscio, “di occupare, grazie a piccoli numeri, segmenti di mercato che le due grandi denominazioni regionali non possono raggiungere, visto che Tullum è, di fatto, l’unica Doc territoriale dell’Abruzzo”. Il progetto di zonazione e la nascita della realtà Feudo Antico, che presto si doterà anche di una propria struttura produttiva, vanno in tal senso, ossia “la valorizzare dei vigneti di Tollo, in modo da individuare, attraverso l’esperienza pluriennale della stessa cantina cooperativa presente, quelli migliori, quelli più fedeli all’espressione del territorio” ribadisce l’enologo aziendale,
Riccardo Brighigna. “In tal senso va anche la scelta del partner accademico”, continua il consulente, “e quella guidata dal Prof. Attilio Scienza è una vera garanzia in tal senso, un salto di qualità, vista la pluriennale esperienza nei più importanti areali vitati dello stivale”. La valorizzazione di un territorio, poi, passa anche attraverso l’utilizzo di tecniche agronomiche a basso impatto ambientale, che proietteranno Feudo Antico, in un futuro prossimo, a “produrre vini da fermentazioni spontanee e minor intervento in cantina”, chiosa lo stesso Brighigna.
Pecorino
Il vigneto “Casadonna”, la cui superficie è di appena un ettaro, di cui l’80% a Pecorino, rappresenta il “laboratorio sperimentale da cui attingere informazioni, attraverso la viticoltura di precisione, accanto a vitigni classici da climi freddi come il Pinot nero, il Traminer, il Veltliner, il Riesling renano e il Sylvaner verde, in risposta ai cambiamenti climatici in atto”, fa osservare Antonio Sitti, agronomo aziendale. Lo stesso, poi, aggiunge che, “pur tra mille difficoltà incontrate nella prima fase dell’impianto, ci si aspetta, dalla prima vendemmia, un Pecorino con un’ottima acidità e mineralità, tipica della viticoltura in quota”.  Inoltre, l’impianto a contro spalliera è, secondo il Prof. Lucio Brancadoro dell’Università di Milano, “necessario in questo caso, rispetto al classico tendone abruzzese, per garantire una maturazione sufficiente, attraverso un sesto d’impianto fitto con pochi grappoli”. Insomma, un laboratorio sperimentale di grande interesse, non solo per l’Abruzzo, ma per il futuro della viticoltura.

Sebastiano Di Maria
molisewineblog@gmail.com

Ecco gli scatti dell'evento alla presenza della stampa di settore, a cui è stato illustrato tutto il progetto. L'occasione è servita anche per degustare i vini di Feudo Antico,  ottenuti da fermentazioni spontanee e nessuna filtrazione.



venerdì 22 novembre 2013

CANTINA VALTAPPINO E TINTILIA, UN LEGAME CHE FA STORIA

E’ un concetto ormai di dominio pubblico che la Tintilia, il vitigno autoctono della regione Molise, che, in un futuro prossimo, si spera, possa essere affiancato da altre varietà, visto l’enorme patrimonio ampelografico in mostra nella recente esposizione di uve antiche del Molise, curato dall’instancabile Michele Tanno, rappresenta il mezzo con cui si possono aprire nuovi scenari nel mercato vitivinicolo della nostra regione, se correttamente comunicato. Quello che forse molti non sanno, che invece vogliamo portarvi a conoscenza, riguarda la storia recente di questo vitigno e delle sue uve, coccolate e vinificate, molto prima della comparsa delle prime bottiglie sul mercato, da quella che rappresenta la prima realtà produttiva regionale del suo genere, la Cantina Valtappino, nata nel lontano 1969, dall’azione degli allora 274 viticoltori, i cui vigneti insistevano per lo più lungo le dolci colline del Molise interno, quelle che fanno da contorno alla valle in cui scorre l’omonimo torrente. Luciano Cirucci, attuale responsabile dello stabilimento, nonché factotum dell’azienda, con orgoglio rivendica, per il suo sodale, la paternità delle prime vinificazioni di Tintilia, o Tintiglia, come lui stesso ha tenuto a precisare, quando qualche piccolo produttore dell’areale ancora custodiva con gelosia questo vitigno rustico e poco produttivo, scampato alla mattanza del sistema quantità. 

Luciano Cirucci e immagini della cantina
“Un’azienda - come ci dice lo stesso Cirucci – sempre in salute che, pur contro maldicenze e luoghi comuni che accompagnano le realtà cooperativistiche, ha sempre avuto un forte legame con il territorio e con i produttori, cui offriva un servizio continuo di formazione e informazione”. L’areale che circondava il capoluogo regionale, dove è situata la cantina, presentava un’elevata estensione di vigneti, particolarmente concentrati tra i comuni di Toro, San Giovani in Galdo e Campodipietra, mentre dai comuni di Ferrazzano e Mirabello arrivavano le uve di Tintilia. “L’abbandono della viticoltura delle aree interne - complici le scelte istituzionali, e non, di puntare alla vitivinicoltura di quantità, decretando, di fatto, l’abbandono delle vigne nelle zone marginali, aggiungiamo noi - ha rappresentato una svolta per la stessa azienda, tanto che allo stato attuale la stessa conta solo quattro soci, per un totale di soli quindici ettari di vigneto”, a tutti gli effetti, un’azienda che ha perso i connotati di socialità. “La filosofia aziendale, dopo questo sconquasso, non è cambiata, anzi - continua Cirucci - tende a rafforzare il legame con il territorio, dando la possibilità ai giovani di investire nelle qualità di un’areale da sempre vocato alla vitivinicoltura, che aveva in Gambatesa il centro nevralgico, attraverso la valorizzazione dei vitigni delle aree interne, come la Tintilia, su cui l’azienda ha scommesso da sempre, quando si pensò di vinificare e imbottigliare, anche se solo a uso personale, vista l’assenza di una denominazione territoriale in quel momento storico”. Con Decreto Ministeriale del 18 maggio 1998, nasce la seconda DOC regionale, “Molise” o “del Molise”, dopo la “Biferno”, nata invece nel 1983, che, per via del toponimo utilizzato, tendeva a favorire parte degli areali produttivi, e in particolar modo quelli del basso Molise che facevano riferimento a un'altra importante realtà cooperativistica. La nuova denominazione, finalmente, riconosceva, nel suo disciplinare, la possibilità di vinificare e imbottigliare vino da uve di Tintilia, dando la possibilità di non vedere vanificati gli sforzi di tanti piccoli produttori delle zone interne che con caparbietà conservavano vecchie vigne, su cui la Cantina Valtappino aveva scommesso. Testimonianza di tale lungimiranza è stata la prima bottiglia di Tintiglia apparsa sul mercato, proprio nel 1998, per merito della stessa azienda, l’unica che può vantare questo primato.

Prima bottiglia di Tintilia sul mercato
 
“Il comune di Gambatesa - ci spiega Cirucci - ha rappresentato il vero centro produttivo e storico di tutto l’areale, dove nacque, nel 1975, la Vinicola D’Alessandro, convertita, successivamente, da un gruppo di investitori romani, in Serra Meccaglia, una delle prime aziende totalmente meccanizzate in Europa, che produceva ben un milione di bottiglie di vino, in parte fornito anche dalla cantina Valtappino, di cui il 90% era destinato al mercato internazionale”. La Serra Meccaglia, già nel 1985, produceva il primo vino Le Serre (Rosso dei Colli del Tappino, imbottigliato da Vi.Ta., viticoltori del Tappino), blend a base Aglianico e Tintilia, il più antico dei vitigni del Sannio, come citato in etichetta. Nel 1975 veniva prodotto il San Barbato (blend di Trebbiano e Malvasia), dalla Vinicola D’Alessandro di Gambatesa, con il simbolo del Castello di Gambatesa sull’etichetta. A questi vini si affiancavano altri, come uno spumante “Blanc de Blancs”, ossia ottenuto da sole uve bianche, chiamato Domenico, oltre ad una Vernaccia, il Rocca del Falco. Questo rappresenta la storia produttiva, anche recente, dell’azienda e dell'intero areale che, affiancata a quella artistica presente nel Castello di Gambatesa, come spiegato in maniera magistrale da Franco Valente, che potete leggere in questo post, è la forza su cui l’azienda vuole puntare per il futuro, attraverso i vigneti situati proprio nello stesso Comune, a ridosso del Lago di Occhito.

Bottiglie storiche dai produttori della valle del Tappino

Vigneti dell'azienda nei pressi del lago di Occhito

La storia più recente dell’azienda, ancora alle prese con un certo senso di diffidenza da parte di certa critica enologica regionale, come tende a sottolineare non senza un certo disappunto lo stesso responsabile, parla di premi e riconoscimenti che, finalmente, danno il giusto tributo a un impegno e una coerenza che tende a privilegiare la qualità delle produzioni territoriali, riducendo all’essenziale gli interventi in vigna e in cantina, grazie alle favorevoli condizioni ambientali da una parte, e una tecnologia priva di strutture e tecnicismi da manuale enologico dall’altra. Il vino di punta dell’azienda è la Tintilia Embratur (l’Embratur era la massima figura politica nei sanniti), prodotta in due tipologie, tra cui la riserva affinata in tonneau di rovere per quattro anni, rappresenta il fiore all’occhiello della produzione, grazie anche ai prestigiosi riconoscimenti che nell’ultimo anno ne hanno accompagnata la consacrazione. Nel corso dell’ultimo Vinitaly, al concorso enologico internazionale, alla Tintilia 2010 è stato assegnato il Diploma di Gran Menzione, anche se la stessa, curiosamente, non era presente nella selezione di vini regionali in degustazione nello stand allestito dalla Camera di Commercio, come fa notare con rammarico lo stesso Cirucci. Lo stesso vino si è aggiudicato, poi, la medaglia d’argento al concorso enologico internazionale “Selezione del Sindaco”, organizzato dall’Associazione nazionale delle Città del Vino. L’azienda, inoltre, è stata inserita nella guida di Veronelli 2014, con ben 90 punti per la Riserva e 88 punti per la 2010, oltre che nei vini da non perdere nella guida del Touring Club con la tipologia RiservaGiuseppe Vaccarini, presidente dell'associazione delle sommellerie professionale italiana (ASPI), alla prima edizione del Divinolio, recensì la Tintilia 2010 come il vino che più lo aveva colpito all'interno del panorama enologico molisano, dato confermato con gli ultimi premi. 

I premi della Tintilia Embratur 2010
 
Un pomeriggio in compagnia del vulcanico Luciano, foriero d’iniziative e impegno per la tutela e la promozione delle produzioni di qualità, ancora troppo ancorata a certi stereotipi di cui si è spesso schiavi, spesso per mancanza di onestà intellettuale, come abbiamo convenuto e di cui ho sottolineato alcuni aspetti nel mio ultimo articolo, che v’invito a leggere con attenzione, cui si aggiungono eventuali scelte istituzionali e/o produttive discutibili che vanno a calpestare la nostra storia viticola ed enologica. Le scelte produttive come quelle dell’azienda Valtappino, coraggiose perché ricalcano quella che è la storia del territorio, anche come possibile sviluppo delle aree marginali interne, vanno rispettate e giustamente comunicate, perché il vero contenuto della bottiglia, oltre al vino, è la storia da raccontare, fatta di uomini, passione, sacrifici e cultura, di cui la Cantina Valtappino e il "Molise interno" ne sono pregni.
 
Sebastiano Di Maria
 
 



lunedì 18 novembre 2013

VINO? NO GRAZIE, SONO ITALIANO

In un momento storico in cui siamo primi produttori ed esportatori al mondo di vino, l’Italia, o meglio, gli italiani, fanno registrare, con un declino progressivo che ci porta ai minimi storici dall’unità d’Italia, un calo nel consumo del nettare di Bacco senza precedenti, ad appannaggio di altre bevande alcoliche. Quali sono i motivi di questa sempre minore attrazione verso il simbolo dell’agroalimentare italiano nel mondo? Nei giorni scorsi, la popolare rivista americana Newsweek, con un articolo dal titolo significativo “Vino? No tank. We’re italian”, ha cercato di individuare quali sono le cause alla base di questa profonda flessione nelle abitudini di consumo, loro che sono i primi importatori di vino italiano nel mondo. Secondo gli analisti d’oltre oceano, il calo è imputabile a una serie di fattori, tra cui la crisi economica in cui il vino non è considerato più un bene di prima necessità, i cambiamenti demografici, con un invecchiamento della popolazione che incide direttamente sul consumo di alcolici, oltre un crescente interesse verso alcune tipologie di prodotti, come la birra artigianale, che sembrano raccogliere sempre più consensi nel consumatore. Il nostro paese, infatti, per quanto riguarda il consumo individuale di vino è dietro la Francia, con 51,48 litri l’anno. E’ questo il dato di uno studio del Beverage Information Group, gruppo di ricerca statunitense sul consumo di bevande alcoliche, che è un segno tangibile, secondo gli analisti, del cambiamento di tendenza, registrando un evidente calo del 15% rispetto al 2006, ancora maggiore se rapportato agli anni settanta, quando la media era di 111 litri l’anno, secondo le stime di Assoenologi. Nell’ultimo quinquennio (2007-2012), invece, la flessione è stata del 4,5%.
Fonte: Newsweek
Secondo Jancis Robinson del Financial Times, questa tendenza è comune a tutti e tre i principali produttori di vino al mondo, Italia, Francia e Spagna, ed è imputabile, secondo la stessa giornalista, a una diversa immagine di chi beve vino diffusa nella società. La Master of Wine Robinson scrive: “Il vino fa parte della tradizione storica di questi paesi: chi beve vino è visto ormai come una persona “vecchio stile", è associato ai contadini di una volta, a differenza invece delle birre più pubblicizzate, o delle bevande gassate, dei liquori, che hanno un’immagine più giovane e moderna”. Negli Stati Uniti, invece, la tendenza è opposta, ben il 30% in più rispetto a dieci anni fa.  Secondo Joe Bastianich, imprenditore di origini italiane nel settore alimentare, “gli Stati Uniti stanno recuperando terreno, mentre l’Italia sta diventando un paese più moderno. In un paese che si basa sempre meno sulla produzione agricola - ogni riferimento alla continua sottrazione di suolo fertile per la cementificazione e attività industriale è puramente voluto - è normale che ci sia meno gente che beve vino. In Italia si sta sviluppando una nuova cultura, per creare birre e cocktail artigianali, mentre negli Stati Uniti si bevono meno cose insignificanti e più vino, perché si sta cercando di vivere con uno stile di vita migliore”. Lo scrittore Anthony Giglio, anch’egli di chiare origini italiane, sostiene che “i giovani italiani vedono il vino come la bevanda dei loro genitori, dei loro nonni. Invece, sono alla ricerca di cose più eccitanti, come le birre artigianali e i cocktail”.
Crisi economica, cambiamenti dei gusti, disoccupazione, bevande di tendenza, d’accordo, ma c’è anche qualcos’altro nel calo del consumo di vino in Italia? Come si può uscire da questo cono d’ombra, cercando di programmare il futuro in modo da non dipendere quasi esclusivamente dall’export, quello che Monica Larner, corrispondente in Italia di The Wine Advocate, definisce, come citato nello stesso articolo, l’unica strada per la sopravvivenza del sistema vino in Italia? Innanzitutto riappropriandosi delle proprie origini, rinsaldando il legame con la terra e con l’agricoltura, rifiutando qualsiasi forma di sviluppo o presunto tale che violenti il nostro bene primario; la crescita dei consensi dell’istruzione agraria, in tutti i suoi livelli, è di buon auspicio per formare la nuova classe di operatori del settore. Il mondo vitivinicolo, già oppresso dalla burocrazia ossessiva, e in particolare l’aspetto che riguarda la comunicazione, e con esso tutto il complesso sistema di gestione che va dal produttore al consumatore finale, rappresenta, per chi scrive, uno dei problemi del nostro sistema. La comunicazione affidata a personaggi di dubbia onestà intellettuale, oltre che di conoscenza neanche scolastica delle problematiche vitivinicole o agricole in generale, di cui è pieno il sistema vino, costringe le aziende a dedicare gran parte delle risorse finanziarie e umane a interagire con la critica enologica, di cui spesso è schiava, e per la pubblicità sulle testate specializzate. Per tale motivo il vino, grazie anche all’alta finanza che ha fagocitato tutte le più importanti realtà produttive, cui interessa una fetta dei sei miliardi di abitanti della terra, non i sessanta milioni interni, si è appiattito sull’eccellenza, diventando sempre più impegnativo. Bere un bicchiere di vino è, soprattutto, impegno psicologico ed economico, spesso anche per ricarichi vergognosi da parte dei ristoratori, cose che lo rendono meno interessante, meno divertente, noioso.
Fonte: Intravino
Va riscoperto il divertimento di bere un bicchiere di vino - non a caso vanno bene gli spumanti, ossia vini divertenti per stile e situazioni di consumo - attraverso la riscoperta della quotidianità, dalla possibilità di poter consumare a un giusto rapporto qualità-prezzo durante i pasti, consapevoli delle qualità organolettiche e salutari per il nostro stile di vita mediterraneo, fuggendo quelli che sono i tentativi di disinformazione e aggressione da parte di certa stampa controllata che addita l’alcool, e il vino in particolare, di parte dei problemi di salute pubblica. La riconquista della vera identità e originalità del prodotto, attraverso il suo legame con la terra e con la nostra storia, quella alla base del successo del vino italiano nel mondo, è condizione imprescindibile per ridare linfa al consumo interno, anche attraverso sistemi di comunicazione diretti e a "costo zero" che coinvolgano i consumatori, giovani in particolare, avvicinandoli alle realtà aziendali, fino ad adesso troppo lontane dal quotidiano.

Sebastiano Di Maria


sabato 16 novembre 2013

ORIGINE DEI DESCRITTORI "VOLUME E CONSISTENZA" NEI VINI

Questi termini sensoriali, molto usati soprattutto in Francia, possono apparire di difficile attribuzione soprattutto ai consumatori meno esperti. Numerose ricerche hanno in passato individuato nell’alcole, negli zuccheri semplici, nei polisaccaridi i responsabili del “gras”, termine con il quale i francesi definiscono questi descrittori. Senza entrare nel dettaglio, appare significativo il diverso riscontro sensoriale dei degustatori professionali nei vini bianchi nei confronti di quelli rossi. Mentre nei vini rossi la sensazione di volume è largamente condivisa, per i vini bianchi i pareri sono molto discordi. Il concetto di volume e rotondità in questi ultimi è apparso correlato in modo significativo ai prodotti di rilascio dei lieviti, sia presenti naturalmente nel vino sia aggiunti. Inoltre, i degustatori non sono riusciti a distinguere il volume dalla consistenza. Va anche ricordato che non tutti i lieviti hanno lo stesso ruolo nel determinare queste caratteristiche e che alcuni ceppi sono molto più attivi (IOLev1 e IOLev 2).





Il contenuto di fenoli ha un ruolo importante, soprattutto sulla consistenza, ma solo quando le uve sono prodotte in ambienti caldi e solo per alcune varietà quali il Viognier ed il Fiano. Per il Pinot grigio è molto importante l’epoca di vendemmia. I Pinot grigi prodotti in Italia ed ottenuti da uve raccolte precocemente hanno molto meno consistenza (anche per effetto del pH basso) dei Pinot grigi alsaziani, prodotti da vendemmie tardive e con una breve macerazione pellicolare. Anche la tecnica della iperossigenazione dei vini bianchi ha un impatto negativo su consistenza o volume, perché riduce la presenza di fenoli. Naturalmente, anche la qualità dei fenoli ha la sua importanza, in quanto quelli che danno un carattere amaro al vino riducono la percezione di volume. Nei vini rossi, non sono i prodotti dei lieviti a fare la differenza, ma la percezione del “volume”, che sembra legata ai descrittori della componente fruttata ed aromatica. Non rivestono un ruolo significativo l’acidità e l’astrigenza.

Fonte: Tre Bicchieri Gambero Rosso (Articolo a firma del Prof. Attilio Scienza)


venerdì 15 novembre 2013

IL VINO DI QUALITÀ, NON SOLO TINTILIA

Resoconto incontro con gli organi di stampa sul tema “Il vino di qualità non solo Tintilia”



Identifica il Molise: la Tintilia, ma  ”…. non solo Tintilia”  il tema dell’incontro tenutosi a Campobasso stamane organizzato dall’ONAV  Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Vino, Coldiretti Molise, Consorzio di Valorizzazione dei Vini Molisani.
Noi dell’ONAV  abbiamo sottolineato che se è pur vero che la Tintilia rappresenta e deve rappresentare il volano per far conoscere i nostri vini al di fuori della regione, esistono affianco ad essa altre eccellenze che rappresentano numericamente la gran quantità della produzione vinicola regionale, produzione di elevata Qualità. 



Abbiamo sottolineato altresì la necessità di focalizzare l’attenzione sulla riscoperta di altri vitigni autoctoni da affiancare alla ben nota Tintilia da impiantare su altre aree territoriali in modo da dare l’opportunità a tutta la regione di avvalersi di quel quid che l’autoctono rappresenta. 
Nel corso dell’incontro, è stata sottolineata la volontà, nonché necessità, di far conoscere  le nostre eccellenze al consumatore molisano, che insieme alla stampa, rappresenta lo strumento adatto alla divulgazione delle eccellenze del territorio.

Carolina Iorio 
Delegato ONAV Molise



mercoledì 13 novembre 2013

APPUNTAMENTI SU VINO, GIOVANI E VITICOLTURA IN MOLISE

Giovedì 14 Novembre, alle ore 10.00, Coldiretti, ONAV Molise e Consorzio Tutela vini Molisani, hanno indetto una conferenza stampa allargata per presentare le peculiarità dei vini Molisani.



"Giovani e viticoltura: storia, realtà e prospettive di un settore in crescita". Convegno ad Agnone sabato 16 novembre ore 9.30.



lunedì 11 novembre 2013

CANTINE APERTE A SAN MARTINO CON ANGELO D'UVA E ISTITUTO SAN PARDO

Come ho già anticipato nei giorni scorsi, il giorno di San Martino, che cade l’11 del mese di novembre, rappresenta, per il mondo agricolo, un giorno importante, oggi conosciuto ai più per il detto “ogni mosto diventa vino”, rievocato nelle cantine di tutt’Italia aderenti al progetto Movimento Turismo del Vino (MTV) nella giornata di ieri, ma, come forse molti non sanno, rappresentava, in passato, un vero e proprio spartiacque, che coincideva con il termine dell’annata agraria e con la stipula, tra proprietari terrieri e contadini, dei nuovi contratti di mezzadria per l’anno successivo. Anche in Molise, presso le cantine di Angelo D’Uva, è stata festeggiata questa ricorrenza attraverso la rivisitazione di quelli che erano i momenti di lavoro, fatti anche di canti, balli e gioia, che accompagnavano una delle pratiche più radicate nella storia del mondo contadino, la vendemmia e la relativa pigiatura dell'uva, e poi il successivo assaggio del vino novello. Quest’anno la giornata è stata animata dagli studenti dell’Istituto Tecnico “San Pardo” Agrario e per Geometri di Larino, rappresentato dalle Prof.sse Annarita De Notariis e Giovanna Civitella, l'anima del gruppo, attraverso la riproposizione di canti, balli e musiche, nonché della pratica della pigiatura dell’uva con i piedi, una sensazione atavica, il contatto primordiale uomo-natura. Alla narrazione che ha anticipato le singole fasi, preparata dal sottoscritto per l’occasione, faranno seguito video e immagini dell’intera giornata. Buona lettura e buona visione. Prosit!

Angelo D'Uva e Donato Di Tommaso, enologo aziendale

PARTE I: LA VENDEMMIA
La vendemmia fa parte della nostra storia, delle nostre tradizioni più care. La vendemmia era gioia, era momento magico, una tradizione con un forte valore antropologico e culturale. Giornate di duro lavoro, quelle durante il caldo umido di settembre, con le mani appiccicose di mosto per via dello zucchero presente, l’anima dell’uva, mentre la fatica era alleviata dalla festa del momento, fatta di canti, stornelli e risate. Poco o nulla sanno le nuove generazioni della vendemmia d'un tempo, dove si poteva cogliere lo spirito di una comunità legata alla campagna, al lavoro della terra e della vite, una ritualità che favoriva la socialità tra famiglie attraverso il duro lavoro, a godere della compagnia e degli amici. Ormai è soltanto un ricordo il rito vendemmiale, antico, antichissimo, che affonda le sue radici in un qualcosa che non c’è più, in un passato caratterizzato da un vero e proprio cerimoniale fatto di uomini e donne, di gesti e rituali. Oggi non c’è più nulla di questo, ridotta ormai, attraverso la meccanizzazione, con ritmi serrati o con squadre di operai, come una vera e propria catena di montaggio. Preludio alla raccolta dei grappoli maturi, fervevano i lavori di pulizia dei tini e delle botti nelle cantine; il colpo del mazzuolo sulle doghe o sui cerchi per rimettere in sesto quei recipienti che avevano subito i danni del tempo, la bagnatura o l’abbonimento con acqua per la reidratazione. Nella raccolta ci si faceva aiutare dai vicini e tra i filari, gli uomini, lavoravano con l’aiuto di birocci trainati da coppie di buoi bianchi, carichi di bigonci d’uva. Le donne, invece,  in cucina preparavano ricche colazioni e pranzi per rifocillare i mariti e, in cantina, spesso avevano il compito di pigiare l’uva con i piedi. I bambini erano liberi di correre, giocare e divertirsi tra i filari.




PARTE II: LA PIGIATURA DELL’UVA CON I PIEDI
E’ la prima operazione in una cantina, è quel processo attraverso il quale si estrae dall’uva il mosto da fermentare. Sottovalutata, in molte occasioni, nel passato, ma a volte anche nel presente. Eppure riguarda la materia prima, pertanto condiziona notevolmente la qualità del mosto e del futuro vino. Oggi, esistono macchine moderne che effettuano razionali operazioni di diraspatura-pigiatura, una sorta di sgranellatrici che distaccano gli acini dal raspo. Quali sono le caratteristiche ottimali per una razionale ed efficace pigiatura? E’ prioritario, innanzitutto,  il rispetto dell’uva, gli acini vanno schiacciati, la buccia e soprattutto i vinaccioli debbono restare possibilmente integri. I raspi debbono uscire asciutti, ma soprattutto interi, è fondamentale che non finiscano a pezzettini nel mosto. Tecnicamente, la pigiatura con i piedi rimane insuperata per la leggerezza e sofficità dello schiacciamento, con cui si evitano gli eccessivi spappolamenti delle bucce e la rottura degli acini acerbi. Lo schiacciamento con i piedi è, quindi, ancora oggi, per certi aspetti, un metodo di pigiatura preferibile, soprattutto per chi vuole preservare le caratteristiche originarie dell’uva. Ci sono alcuni produttori che ricorrono a questo sistema di estrazione del mosto. Il mosto appena uscito dagli acini deve essere subito allontanato dalla massa d'uva soggetta alla pigiatura, che tenderebbe altrimenti a scivolare sotto i piedi, perciò l'ammostamento va fatto in un recipiente che permetta tale separazione immediata, a questo scopo furono costruiti i "palmenti", vasche di pietra o di cemento con il fondo inclinato. E’ opportuno, inoltre, che il mosto sia subito immesso nei tini o nelle vasche di fermentazione in modo che questa abbia presto inizio, poiché la permanenza all'aria ne causerebbe l'ossidazione con effetti dannosi alla qualità del vino.




PARTE III: IL VINO E SAN MARTINO
Per San Martino ogni mosto diventa vino”. Il nesso con il Santo, in realtà, era casuale: l’11 novembre, festa appunto di San Martino, era considerata in passato particolarmente importante, quasi una sorta di capodanno, perché quel giorno si facevano iniziare attività pubbliche e private di rilievo come quella dei tribunali, delle scuole, il pagamento dei fitti e delle locazioni. Quale occasione migliore per testare le qualità organolettiche del nuovo vino? La ricorrenza del Santo era anche l’occasione per l’assaggio, con il vino, dei prodotti di stagione. Il vino costituiva la bevanda fondamentale a tavola, solo complemento di piacere al misero piatto dei poveri, motivo di arricchimento e di discussione, invece, nella mensa dei ricchi. Il vino si prestava a diversi usi: bevuto caldo, nelle sere fredde, come rimedio al raffreddamento, nell’impasto di alcuni dolci o rustici, nella stufatura della selvaggina, oppure sotto forma di mosto cotto, ottenuto dalla condensazione a bagnomaria del mosto d’uva. Lo scattone, piatto tipico della civiltà contadina e pastorale molisana, legata al mondo della transumanza, ha nel vino uno degli ingredienti fondamentali. Era tradizione, inoltre, produrre durante la vendemmia l’acquata, un vinello leggero che derivava dall’acqua passata attraverso le vinacce. I contadini ne offrivano un bottiglione come prelibatezza ad amici e parenti ma doveva essere consumato subito, entro tre giorni, come si raccomandava, perché altrimenti non si sarebbe conservato. In Molise era usanza del vino “alla frasca”, in cui un produttore, con autorizzazione del Sindaco, visibile grazie ad un ramoscello appeso davanti alla sua bottega, poteva allestire un piccolo banco e distribuire vino a forestieri sfuso o in brocche. Le “infrascate”, invece, erano dei veri e propri capanni coperti da canne o fronde, all’interno delle quali, oltre al vino, erano in vendita cibi cotti o crudi. Il vino bevuto in compagnia, oltre a riscaldare e ristorare, metteva addosso allegria, voglia di cantare e di ballare.





Sebastiano Di Maria

sabato 9 novembre 2013

UNA FESTA DAL FORTE VALORE ANTROPOLOGICO E CULTURALE

La pigiatura dell’uva con i piedi, a tempo di musica, è una delle immagini più romantiche ed evocative della vendemmia di un tempo, che rappresentava un’occasione di festa, oltre che di lavoro. Atmosfera che sarà rievocata il domenica 10 novembre, a cura degli studenti dell’Istituto Tecnico “San Pardo” di Larino, nell'evento “Cantine aperte a San Martino”, organizzato dalle Cantine Angelo D’Uva, all'interno delle iniziative del Movimento Turismo del Vino (MTV), nella stessa città frentana. Una giornata all'insegna della festa, dei sapori tradizionali, sapientemente preparati dall'agriturismo “I dolci grappoli”, struttura del complesso aziendale, del vino, ma anche della socialità e della riscoperta dei valori della terra, vera risorsa per la crescita.

“Nella tradizione contadina, la vendemmia ha sempre rappresentato un momento in cui la terra e la vite, con il lavoro e l’ingegno dell’uomo, producono finalmente i propri frutti. La storia della vite, dell’uva e del vino si sono sempre intrecciate con quelle del cibo e delle feste, un rito secolare che si ripete ogni anno”.

I ragazzi dell'Istituto San Pardo nella rievocazione della festa della vendemmia

“Una sensazione atavica, il contatto primordiale uomo-natura: l'antica (e divertente) arte del pigiare l'uva con i piedi! Tutti potranno provare a immergere i piedi scalzi nel tino e cominciare a pestare a ritmo di musica”.

I ragazzi dell'Istituto San Pardo nella rievocazione della pigiatura dell'uva

“Nasceva una certa ansia in attesa del giorno di S. Martino quando finalmente si poteva assaggiare il vino nuovo ed accompagnarlo a qualcuno dei piatti tradizionali dell’autunno e ci si augurava che il vino fosse “robusto” e si potesse conservare a lungo”.

Servizio di pietanze della cultura contadina nel corso della rievocazione

Sebastiano Di Maria
molisewineblog@gmail.com



Una tradizione dalle origini antichissime, quella di San Martino: usanza vuole che 1’11 novembre, in campagna, si festeggiasse l’inizio della nuova annata agraria. “Cantine Aperte a San Martino” punta su questo rituale appuntamento per sviluppare la conoscenza del vino e dei suoi territori di produzione, andando incontro all'interesse e alle esigenze degli appassionati.



Per questo Le Cantine D’Uva propongono, un viaggio virtuale nella magia della vendemmia, momento di grande fatica ma anche festa grande per le famiglie contadine di un tempo, periodo carico di affanni ma anche di aspettative culminanti nel buon bicchiere di vino nuovo con cui alla mezza dell’11 novembre padrone e mezzadro brindavano, siglando così il rinnovo del contratto agrario e l’inizio della festa e delle danze sull'aia. Fisarmoniche canzoni e danze ad accompagnare una tavolata frugale fatta di sapori, semplici, oggi dimenticati o sconosciuti, una tavolata dove il buon olio nuovo, il pane, i legumi, le verdure di campo, le carni di maiale i prodotti di mandra venivano esaltati dal buon vino rosso spillato dalle botti.
Una festa di saperi e sapori antichi sulle note di una fisarmonica.

Comunicato stampa Cantine D'Uva



mercoledì 6 novembre 2013

DALLE STELLE ALLE STALLE

Come da prassi consolidata, questo è il periodo delle guide enogastronomiche. Oggi voglio fare una piccola digressione rispetto al tema del blog, forse neanche tanto, ma ne vale la pena. La nuova edizione della guida Michelin Italia, quella rossa, per intenderci, ossia il massimo del riconoscimento per la ristorazione attraverso l'assegnazione delle stelle, raccoglie segnali molto positivi nello scenario della ristorazione del nostro Paese. Il ristorante Reale di Castel di Sangro di Niko Romito è il nuovo "tre stelle" della Guida Michelin 2014 in Italia. Si tratta di un ristorante gourmet con soli sei tavoli, nato in quel di Rivisondoli, nonché centro di alta formazione di giovani chef.


La tenuta Casadonna a Castel di Sangro (AQ)


Vi chiederete, vabbè, ma "che ci azzecca" (cit.)? Ma non dovevi piuttosto parlare di stalle, anziché di stelle, o magari di "arretratezza" e "ignoranza"? Oh, sveglia, sei in Molise, non in Abruzzo! Tranquilli.
Innanzitutto il pluridecorato chef, di cui sopra, ha particolare attenzione anche per alcune ricchezze dell'"arretrato" Molise, come i fagioli di Acquaviva d'Isernia,  nonché del tartufo molisano - il 40% del tartufo bianco prodotto in Italia è molisano - e già questo vale più di mille chiacchiere, quelle che idolatrano falsi miti del grande schermo o strampalate soluzioni miracolose a base organica, queste si, veramente comiche, al limite del grottesco. In secondo luogo, lo stesso chef, attraverso una partnership con Feudo Antico, azienda vitivinicola in quel di Tollo (CH), ha dato via, con l'apporto scientifico dell'equipe guidata dal Prof. Attilio Scienza dell'Università di Milano, al primo vigneto sperimentale d'alta quota, situato a quasi 900 metri d'altitudine. Ma qui non posso sbottonarmi visto che non è stato ancora pubblicato il mio articolo relativo sul Corriere Vinicolo.

Particolare del vigneto Casadonna
Viticoltura di montagna come elemento di valorizzazione paesaggistica e recupero delle aree marginali, sperimentazione, alta cucina, formazione e ospitalità, sono concetti che mi piacerebbe fossero rafforzati nelle forme di programmazione istituzionale in Molise,  dove spesso le sinergie sono assenti, ma questo è un problema atavico che potrebbe essere superato. Mentre c'è chi nelle aree marginali investe nella ricerca delle radici culturali, attraverso il cibo e il vino e il legame con il territorio, con grande successo, da altre parti si pensa che una cloaca a cielo aperto sia la soluzione di tutti problemi.

Sebastiano Di Maria

P.S. Dimenticavo, perché tutto questo? Lo devo a chi non mi segue abitualmente sui social. Ho avuto la fortuna di essere ospite, insieme a giornalisti di settore, vino e non, di Niko Romito e della tenuta Casadonna qualche settimane fa, prima della terza stella, notizia di ieri. Lo stesso Niko, per sua ammissione, ha rifiutato di guidare, negli anni scorsi, un cinque stelle a Tokyo, che lo avrebbe consacrato e arricchito. Invece, con ostinazione e orgoglio, ha investito nella propria terra, con il ristorante Reale, con una Scuola di Alta Formazione culinaria e ospitalità, che da lavoro a oltre 50 persone (50 e non 30), un luogo in cui si fondono storia, arte e cultura attraverso la sperimentazione e l'innovazione. Niko non ha 60 anni, ma appena 39, un esempio da seguire. Questo è un omaggio a lui e all'amore per la sua terra.

Ecco alcune immagini relative all'incontro succitato.





Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...