mercoledì 31 ottobre 2012

FACCE DA VIGNAIOLI?

Devo essere sincero, quando ho visto le immagini che troverete nel seguito del post, sono sobbalzato dalla sedia lanciando un urlo liberatorio, stile curva calcistica. Vi chiederete cosa possa scuotere in questa maniera un tranquillo blogger di provincia – ammesso che rimanga (la provincia naturalmente), vista la spending review – alle prese con la routine quotidiana, se non un gol del campione della propria squadra del cuore o, che ne so, la lettura dei numeri del “lotto alle otto” o davanti a una bottiglia di vino straordinaria. Tranquilli, nulla di tutto questo, purtroppo direi, ma qualcosa su cui stavo lavorando da qualche tempo, che stavo mettendo su con fatica, vista la difficoltà di recuperare il materiale in rete o su riviste specializzate, e che gelosamente ho custodito fino ad oggi nella mia pen drive. In un attimo, grazie al quotidiano “Tre Bicchieri” di Gambero Rosso, tutto questo ben di Dio disponibile a portata di click, una vera manna dal cielo. Di cosa si tratta? Sono “facce da tre bicchieri”, come le definisce l’autorevole rivista, cioè i super premiati della guida vini 2013 del Gambero Rosso, il non plus ultra dell’enologia nazionale, che con i loro bei visi, dopo i loro vini, allieteranno gli appassionati degustatori. Proprio quello che cercavo per confezionare un bel post provocatorio, anzi, neanche tanto, vista la situazione. In effetti, l’articolo che volevo confezionare aveva l’obiettivo di porre l’attenzione su un aspetto della vitivinicoltura italiana, sempre più in mano ad imprenditori, personaggi dello spettacolo, professionisti dell’alta finanza che occupano le copertine patinate dei principali rotocalchi di settore e non, e sempre meno con lo schivo vignaiolo al centro, quello con le mani sporche, con la faccia segnata dalla fatica e dal tempo, il vero valore aggiunto della nostra vitivinicoltura autoctona. Stavolta non mi dilungo in commenti o considerazioni personali, che lascio a voi, anche perché le immagini parlano da sole, magari lasciandovi solo il gusto di un totovignaiolo. Ma vi prego, non "scommettete", altrimenti rischio di essere deferito perché "non potevo non esserne a conoscenza" (cit.).


Fonte: Tre Bicchieri - Gambero Rosso

 
Sebastiano Di Maria
molisewineblog@gmail.com

 

lunedì 29 ottobre 2012

VINCENZO DI CAPUA, LA TINTILIA E ALTRE UVE NEL CASTELLO DI GAMBATESA

Con tutto il rispetto per l’Università del Molise e per le ricerche di altri studiosi che hanno portato a ritenere (non so su quali definitive basi) che la Tintilia sia stata importata nel XVIII secolo dai Borbone nel nostro territorio o che non vi sia alcuna parentela genetica con i vitigni spagnoli oggi esistenti, io sono convinto che la storia sia un po’ diversa.
Di fronte all’assoluta mancanza di fonti esplicite, forse un qualche aiuto, ovviamente senza la pretesa che le conclusioni siano definitive, ci viene dall’arte.
La rappresentazione dell’uva nelle forme artistiche del passato nel Molise ha avuto un successo che potremmo definire straordinario. Anzi, dei tralci, degli intrecci vitinei e dei grappoli d’uva si è fatto un uso addirittura generalizzabile in tutta l’arte regionale, dall’epoca longobarda (si vedano le lastre decorate di S. Giorgio a Petrella Tifernina o quelle di S. Maria della Strada) a quella normanna, a quella barocca degli altari lignei seicenteschi e settecenteschi che sono diffusi in tutta la regione.
Tutte figurazioni riconducibili al significato simbolico dell’uva che nella tradizione cristiana viene associata al vino e al sangue di Cristo.
Nella nostra regione vi è un solo caso in cui la rappresentazione dell’uva non ha alcun rapporto con la religiosità e lo si trova nella sala della Battaglia di Otranto nel castello di Gambatesa.



 
Credo si tratti sicuramente della più originale rappresentazione paesaggistica del Cinquecento del Regno di Napoli perché, all’interno di una stanza, Donato De Cubertino volle creare l’effetto di uno spazio aperto, una sorta di belvedere con pergolato, dal quale si poteva vedere il mare di Otranto, ma anche uno scorcio di Tivoli, un angolo della sua biblioteca e una figura di donna che contemporaneamente significa l’Estate ma anche il taglio della Morte.


 
Donato De Cubertino dipingeva a Gambatesa esattamente alla metà del Cinquecento, come chiaramente riferisce nella stanza attigua dove addirittura precisa che il giorno in cui dovrebbe aver terminato le fatiche commissionategli da Vincenzo di Capua era il 10 di agosto del 1550:
IO . DONATO . PINTORE DECUMBERTINO . PINSI A . DIE . MENSI . X . AGUSTI . NELL’ANNO DEL CINQUANTA.
Nelle decorazioni del castello di Gambatesa De Cubertino fece grande uso di frutte e verdure, sulla scia delle decorazioni di Giovanni da Udine che sicuramente aveva visto a Roma alla Farnesina e in altri palazzi della prima metà del XVI secolo.
Si tratta di decorazioni che sono vere e proprie composizioni localizzate all’interno di cornici.
Nella sala della Battaglia di Otranto, invece, la frutta, cioè l’uva, si vede come parte essenziale dell’apparato scenografico perché ancora attaccata alla pianta che si intreccia sulla parte aerea del pergolato.
Ma non è una generica rappresentazione decorativa.

 


Donato De Cubertino nel castello di Gambatesa trasferisce, reinterpretandole, vedute di Roma e della campagna romana.
In questo caso sembra voler evidenziare una caratteristica del luogo nel quale le scene non regionali vengono trasferite. Perciò sono convinto che egli abbia voluto gratificare il committente inserendo nel contesto scenografico della sequenza delle stanze un ambiente agricolo particolarmente consueto nel territorio di Gambatesa (o comunque del feudo di Vincenzo che arrivava fino a Termoli prendendo parte consistente della fascia costiera) dove la coltura della vite assumeva una importanza anche dal punto di vista economico.
D’altra parte siamo alla metà del 500 e la cultura del vino, dei trattamenti, delle modalità della spremitura e della conservazione si andavano diffondendo non solo in Italia, ma in tutta l’Europa rinascimentale.
(Continua)

Franco Valente
franco@francovalente.it


giovedì 25 ottobre 2012

LE SORBE

Ecco il servizio andato in onda su Geo&Geo su un frutto molto particolare, la sorba. Nell'aspetto ricorda una piccola pera, che non può essere consumata appena colta ma dopo una ventina giorni. Il legno di sorbo, invece, è resistente e leggero, perfetto per realizzare attrezzi agricoli. Una delle riscoperte di Michele Tanno e dell'Arca Sannita all'interno del territorio molisano, vero scrigno di biodiversità e ricchezze naturali. Buona visione.
 
 
 
 



 

mercoledì 24 ottobre 2012

NON E' IL VINO DELL'ENOLOGO

Ogni mattina, come un vero e proprio rituale, leggo velocemente le news, poichè gli impegni lavorativi e la famiglia non  mi consentono di seguire assiduamente l'evolversi frenetico della vita che ci circonda, senza far mancare, naturalmente, anche le novità riguardanti il mondo enologico e tutto quello che lo riguarda, con un occhio diverso, si spera, rispetto a quello che generalmente si legge in gran parte della rete. Bene, questa mattina, nei meandri del web, ho scovato un articolo che fa riferimento alla pubblicazione di un libro, dal titolo "Non è il vino dell'enologo - Lessico di un vignaiolo che dissente", che rappresenta, se vogliamo, una voce fuori dal coro o meglio, un attacco a un sistema consolidato. L'autore del testo è Corrado Dottori, un vignaiolo che produce Verdicchio e non solo sulle colline marchigiane, a Cupramontana per la precisione, nell'area dei Castelli jesini, dedicatosi ai vigneti dopo essersi licenziato da un posto garantito in una grande banca internazionale a Milano.

 

Nel libro è racchiuso un viaggio all'interno del mondo vigna e nella vita di chi se ne prende cura, in tutte le sue fasi, dalla cantina fino agli scaffali di vendita,  passando per la critica del gusto e i terroir, dall'enologia a Luigi Veronelli, un racconto, per dirla tutta, del mondo del vino che non trova spazio nelle guide o nei manuali sul bere, di facile approccio e lettura. Quale sia il viatico intrapreso dall'autore, è ancora più chiaro se si tiene conto che nel testo ci sono ben due prefazioni, una a firma dello "sconquassatore" Jonathan Nossiter, regista del documentario Mondovino, mentre l'altra è di Giampaolo Gravina, esperto di enogastronomia e una delle menti della "Guida Vini dell'Espresso".
Ecco qualche estratto del contenuto, che ho trovato in rete:
"È la vigna a rispondere. Col suo aspetto, le sue forme, la sua vegetazione. I tralci si distendono meglio, le foglie ingialliscono dopo, il vigneto appare come un elemento vivente che è solo parte di un ambiente naturale fatto di erbe e insetti e animali. E camminarci in primavera è una meraviglia. Immagini le radici, nel buio della terra, sensitive, cercare acqua e humus e minerale. Vedi i tralci che iniziano a spingere verso l’alto, verso la luce, arrampicandosi in direzione del cielo. E in mezzo le foglie che respirano. Creando energia. Mutando acqua e anidride carbonica e luce in sostanze nutritive. Qualcosa di straordinario che l’uomo, ancora, non è riuscito ad avvicinare".
E ancora: "Che cos’è il vino, dunque? Quel liquido misterioso che per millenni ha messo in correlazione l’uomo con lo spirito del mondo, o quella banale soluzione idroalcolica descritta dai manuali di enologia? Alla fine arrivo a capire che la sofisticazione dei vini, scacciata dalla porta, rientra dalla finestra sotto forma di legalissima manipolazione. Una colossale manipolazione del gusto che viaggia a braccetto, essendone il completamento, con la manipolazione delle coscienze e delle intelligenze".
 
 
 
Jonathan Nossiter, nella sua prefazione, definisce il testo come "non un libro sul vino, anche se sul vino ha da dire cose molte più importanti e interessanti di quasi tutti quegli inanimati libri di apparatchik che gli editori fanno circolare in giro per il mondo", ponendo poi l'accento su quale sarà il futuro della nostra terra, vittima del riscaldamento climatico, l’uso promiscuo degli OGM, l’inquinamento cancerogeno dei mari e dei suoli, subendo passivamente "tranquillamente seduti, viziati dai nostri conforti consumistici sempre più virtuali, annodati per via ombelicale ai nostri computer lasciando che multinazionali, industriali, politici e agricoltori cinici pianifichino il suicidio globale". Il regista, poi, si sofferma sulle ragioni del vignaiolo-scrittore e della sua scelta di vita, forte in tutti sensi, fatta dell'espressione della terra senza prodotti chimici, quello che distingue un vignaiolo naturale da un semplice produttore biologico. "La sua ricerca di una più profonda e più avanzata moderna espressione dell’identità storica del Verdicchio dei Castelli di Jesi, la sua ricerca di un prodotto tangibile dell’identità del suo paese di origine, Cupramontana, lo ha portato a straordinarie scoperte; su se stesso, i suoi genitori, sua moglie e i suoi figli, su ciò che significa essere un cittadino che dissente, un artigiano (che per sua natura è oggi un atto di dissenso), un pacifico guerriero alla ricerca del contributo da dare – sempre con modestia – alla preservazione del nostro pianeta e della nostra civiltà. Perché la nostra sola speranza sta in quello che ciascuno di noi può fare".
Diverso è l'approccio, e non poteva essere altrimenti, di Giampaolo Gravina che rafforza il concetto di territorio, spesso abusato e banalizzato, facendo avvertire un "bisogno diffuso di vini capaci di riannodare ed evidenziare la relazione con i propri luoghi di origine, di valorizzarne la vocazione più autentica, di recuperare un’identità specifica", spesso espressa in modo "contraddittorio e ambiguo". Lo stesso giornalista sviscera gli altri temi che animano il mondo enologico, come l'omologazione del gusto favorita dal vino industriale secondo alcuni, dalla necessità che il vino si faccia in vigna, meglio se da autoctoni, salvo poi "mostrare una prudenza a dir poco stagnante nell’interpretare e valutare quegli assaggi in cui le ragioni della confezione enologica cedono il passo a un carattere più immediato e meno rassicurante, quando non apertamente insofferente alle regole della grammatica enologica". Ed ecco che il pomo della discordia diventa l'enologo, perché se "il suo ingaggio si traduce in un’investitura acritica, se la sua consulenza è ispirata a un certo interventismo e se le procedure adottate prevedono protocolli standardizzati e prodotti selezionati, quello che finisce in bottiglia diventa il più delle volte il vino dell’enologo", un tecnico "le cui giuste preoccupazioni per la sicurezza e l’igiene dei vini sono spesso deformate in ossessioni; la cui rispettabile professionalità di “medico del vino” è pervertita in calcolo del gusto". Giampaolo Gravina, infine, sostiene che "ci vorrebbe un Corrado Dottori in ogni regione del vino, per aiutarci a restituire autentica dignità di problema alle molte questioni che abbiamo davanti", anche se immagina che il finale è già scritto, "so già che ai maestrini della matita rossa e blu Dottori farà storcere il naso e arricciare il sopracciglio: come quando molti sedicenti degustatori assaggiano i suoi vini e scuotono la testa, rimproverando l’assenza di limpidezza, l’acidità volatile piuttosto alta, la sapidità violenta, il finale brusco".
 
 
 
Ci sono molte verità in entrambe le prefazioni, anche se enfatizzate in maniera diversa, la prima di natura apocalittica dallo stile inconfondibile, la seconda più pacata, ma altrettanto decisa e dura su quelli che sono gli argomenti cruciali del sistema vino, che tanto fanno discutere, particolarmente in questo periodo di "bicchieri", "grappoli" e "bottiglie". Senza volermi schierare, anche se il mio pensiero in proposito è stato espresso diverse volte nel blog, è chiaro che i concetti di sostenibilità, di biologico, di naturalità, fanno ormai parte, a pieno titolo, del panorama vitivinicolo e non. Di questo se sono accorti tutti ormai, o quasi, e spunti come questi, racchiusi in un libro che descrive l'umiltà, la passione e il tormento di un produttore, di denuncia e lotta contro un sistema, non possono che far bene, indipendentemente dal proprio "credo".  Si leggono tante cose in materia, spesso di gente che non c'è mai stata in una vigna o che non si è mai sporcata le mani, non vedo perché bisogna bollare a priori un simile approccio "radicale".
 
Sebastiano Di Maria
 

venerdì 19 ottobre 2012

LA GUIDA FLOS OLEI 2013 PREMIA IL MOLISE

Ben sei le aziende inserite da “Flos Olei - la Guida al mondo dell’extravergine” sui mille campioni provenienti da 45 paesi dei cinque continenti. Oli degustati dal panel guidato dal noto eno-gastronomo Marco Oreggia che è anche l’editore della guida presentata e diffusa in duplice lingua (italiano-inglese),che il mondo dell’olio e degli appassionati di questo nostro straordinario prodotto conosce.
 
 
 
Il punteggio minimo che la guida assegna agli oli extravergine di oliva è 80, mentre il massimo è 98, e le sei aziende molisane selezionate partono da 86 punti conquistati dall’azienda agricola Michele Fratianni di Campomarino; 88 dall’ Azienda Agricola Giorgio Tamaro di Termoli, Frantoio Bruno  Mottillo e La Casa del Vento, entrambi di Larino; 90  dall’oleificio Di Vito di Campomarino e, come lo scorso anno, ben 96 punti dall’azienda Colonna di San Martino in Pensilis, che, con questo punteggio, ancora una volta guida il treno della qualità dell’olivicoltura molisana. Ed ora vediamo il quadro complessivo dei 483 oli inseriti nella guida: 226 gli italiani in rappresentanza di 17 regioni (meno la Val d’Aosta, il Piemonte e l’Emilia-Romagna), con la Toscana che, con 51 oli premiati, guida la classifica, seguita dal Lazio (29), la Sicilia (27) e l’Umbria (25) e 247 quelli del mondo, con la Spagna la più rappresentata (63), seguita dalla Croazia (61); Cile e Portogallo (13); Turchia e Grecia (11); Sud Africa (10); Marocco, Francia e Giappone (9) e, con punteggi minori, Argentina, Slovenia, Uruguay, Australia, Stati Uniti, Perù, Giordania e Brasile.
 

Una sorpresa la Croazia? Assolutamente no per chi conosce le tradizioni di questo Paese e la grande vocazione della sua terra all’olivicoltura. Ed è proprio la Croazia di scena martedì 23 a Larino, all’incontro che si terrà presso la sala consigliare per sviluppare, a partire dalle ore 9, il tema “Gestione sostenibile del patrimonio naturale e culturale locale”, inserito nel progetto Medapaths.
 
 
 

lunedì 15 ottobre 2012

LA FIERA DEI GIOVANI

Neanche la pioggia battente, inclemente per certi tratti, ha intaccato la tenacia e lo spirito dei ragazzi dell’Istituto Tecnico “San Pardo” di Larino che nella mattinata di venerdì, con la partecipazione di un gruppo di studenti del Liceo “F. D’Ovidio” della stessa città, hanno dato vita a una manifestazione che ha colorato la piazza principale con le tinte della natura, rievocando un’antichissima pratica che già in epoca romana era diffusissima, quella della pigiatura dell’uva con i piedi. La “festa dell’uva”, come l’hanno battezzata la Prof.ssa Annarita De Notariis e la Prof.ssa Giovanna Civitella, organizzatrici dell’evento, si è andata a inserire nel contesto della 270^ Fiera d’Ottobre, manifestazione nata nel lontano 1742, per mano di Carlo III, Re delle Due Sicilie, che decretò l’istituzione di quello che sarebbe stato uno degli appuntamenti fieristici più importanti del centro-sud Italia. Il poeta larinese Ernesto De Rosa la ricorda in questo modo: “una grande ripercussione su tutti i mercati”, perché “treni carichi di animali si portavano da Larino, nei centri più importanti d’Italia”.
 
 
Scorcio di Piazza del Popolo
 
Proprio le origini e le tradizioni contadine di un appuntamento che nei secoli scorsi era punto di passaggio per tutti quelli che, attraverso i tratturi, compievano la transumanza verso la vicina Puglia, sono state rievocate dagli studenti come collante tra passato e presente, come amalgama tra la cultura popolare e la storia. Come detto poc’anzi, con la pigiatura a piedi nudi dell’uva e con essa la pianta della vite, si è voluto riportare alla memoria una tradizione storica di questa terra, che affonda radici in epoca romana, dove la città di Larinum (Urbs princeps frentanorum) ne è un chiaro testimone con ritrovamenti archeologici che certificano la presenza della vite e del vino nel tessuto sociale di quell’epoca. I ragazzi dell’Istituto Tecnico “San Pardo” si sono prodigati nell’operazione di pigiatura con i piedi, tecnica che tutt’oggi è eseguita in alcune realtà territoriali, come per i produttori di vini biodinamici, vista la delicatezza dell’intervento rispetto alle moderne tecnologie, nel rispetto della natura del prodotto e della terra. Anche alcune studentesse del Liceo, a dispetto di qualche evoluto benpensante che sostiene che certe attività non abbiano niente a che fare con la cultura classica, si sono volute cimentare nell’operazione e di buon grado hanno apprezzato le proprietà organolettiche della spremuta d’uva, oltre a parte della cittadinanza convenuta, che opportunamente fermentata riesce a dare un prodotto, il vino, simbolo di convivialità e legame con la terra. 
 
 
Ragazzi alle prese con la pigiatura dell'uva
 
Altro momento di coinvolgimento sono stati balli folk, eseguiti sempre dai ragazzi dei due istituti scolastici, tra suoni e melodie del passato e del presente, che hanno rievocato tradizioni popolari contadine che accompagnavano la raccolta e la trasformazione dell’uva e i momenti di convivialità attorno ad un bicchiere di vino. Si è trattato di un momento di folklore, di gioia e di giubilo, all’interno di una manifestazione fieristica che, forse causa la congiuntura economica avversa o per gli strascichi giudiziari che l’hanno anticipata, si presentava in tono minore.
 
Esibizione di balli folk
Particolarmente apprezzata, dal folto pubblico, è stata la possibilità di degustare i prodotti della tradizione contadina, e in particolar modo i vini di Angelo D’Uva, vignaiuolo in Larino, e l’olio extravergine da olive della varietà “Gentile di Larino”, prodotto dallo stesso Istituto.
Un piccolo encomio, anche se autoreferenziale, per il sottoscritto che ha fornito l'uva utilizzata per la pigiatura, nella fattispecie della varietà Montepulciano, che alla misura rifrattometrica ha dato un valore di 24,2 gradi Babo (percentuale di zucchero in peso, g di zucchero contenuto in 100 g di mosto) che, con un semplice calcolo empirico, darà un vino con un valore potenziale in alcool pari a 14,50%. Non male, eh?
Al termine della rappresentazione, dopo gli elogi della cittadinanza e delle rappresentanze istituzionali presenti, le promotrici dell'iniziativa già si sono messe al lavoro per una nuova edizione da bissare nel 2013, ricca di nuovi spunti.
Un particolare ringraziamento va al Dirigente Scolastico Prof. Paolo A. Santella, ad Enrica Luciani delle cantine Angelo D'Uva, al personale tecnico-amministrativo dell'Istituto Tecnico "San Pardo", agli studenti dell'Istituto Tecnico "San Pardo" e a quelli del Liceo "Francesco D'Ovidio".
Con l'augurio di una rinnovata veste della manifestazione che, insieme all'Istituto Agrario, unico della regione, facciano da traino ad una realtà agricola, pregna di valori e tradizioni, ma ancora poco apprezzata all'esterno.
 
Sebastiano Di Maria
 
 


giovedì 11 ottobre 2012

FESTA DELLA VENDEMMIA

 
 
In occasione della 270^ edizione della Fiera di Ottobre, manifestazione pluricentenaria che si tiene nella città di Larino, ci sarà la rievocazione storica della vendemmia e della pigiatura dell'uva, con l'obiettivo di amalgamare la cultura popolare alla storia. In questo evento, infatti, l'uva ed il vino saranno abbinati al contesto storico, alle tradizioni popolari contadine ed al ballo folk. Tutte le scuole della città  si esibiranno, in Piazza del Popolo, in balli popolari all'interno di una cornice fatta di uva e vino, olive e olio extravergine. Ci sarà una breve trattazione teorico-pratica tenuta, indovinate un pò, dal sottoscritto.
 
Sebastiano Di Maria
 
 
 

QUANDO LA DEGUSTAZIONE DIVENTA POESIA: SUADENTE VANIGLIOSITA' DEL ROVERE PIU' PURO



Non poteva mancare un omaggio a Luca Maroni, da poco insignito del titolo di Dottorato (PhD) Honoris Causa, dall'Università di Messina, come ambasciatore del vino italiano nel mondo.

Qualsiasi cosa tocchi, anche con una sola stilla, e subito, impressionante, s'irradia il suo eccezionale e mirabile profumo. Un'onda intensissimma e fragorosa di dolcezza di frutto e di spezie che ha la forza, il sibilo e la potenza effusiva di un'esplosione di vaniglia e mora. E poi, come fosse sciroppo, la sua cremosità, la viscosità della soluzione e dell'aroma è polpa ferma, è muro di cassis insertato e ampliato dalla suadente vanigliosità del rovere più puro. Il profumo più potente, imprimente e persistente mai sperimentato da un rosso. Un vino di consistenza immaginifica, di morbidezza armoniosa, di assoluta nitidezza enologica esecutiva. Con la linfa della sua uva d'inusitata, clorofillosa e animale forza sua prima. Il Montepulciano d'Abruzzo migliore di sempre, uno fra i migliori rossi in assoluto mai testato. Che come lo si ode aspergersi, qualsiasi altro vino al confronto parrà in estratto vuoto e silente in profumo.

Fonte: Luca Maroni, Montepulciano d'Abruzzo Janù 2006 – Jasci & Marchesani


Balanço - More (1999)

NB Per una lettura migliore della scheda si consiglia questo brano come sottofondo


sabato 6 ottobre 2012

Il BUONO DEL MOLISE

Quando c’è stata la necessità di criticare certe scelte, dal dubbio valore comunicativo e aggregante, non mi sono tirato indietro e ho cercato, nel limite delle mie possibilità, di focalizzare i punti deboli di una cattiva opera promozionale e di tracciare delle linee guida su come uscire da questa situazione di sostanziale anonimato. Allo stesso modo, non mi tiro indietro neanche in situazioni che, invece, danno visibilità e lustro a produttori che, pur tra mille difficoltà, riescono ad ottenere dei risultati positivi. Mi riferisco a quei produttori molisani che hanno ottenuto dei riconoscimenti per i propri vini, in un periodo di piena bagarre di guide e resoconti delle singole attività aziendali. Si tratta di un appuntamento immancabile, che tutti aspettano con ansia, produttori e addetti al settore, ristoratori e buyers, un vero e proprio ciclone che coinvolge tutto il sistema vino. Chi ha la fortuna di essere annoverato tra le eccellenze del bel paese ha un’autostrada spianata, per gli altri, aimè, il discorso è più complesso. In realtà, poiché i riconoscimenti sono comunemente ad appannaggio delle stesse realtà e dei loro vini, si aspetta quest’occasione soprattutto per evidenziare delle new entry o qualche segnale che certifichi altre realtà produttive.
 
 
Oggi voglio focalizzare l’attenzione, come poc’anzi anticipato, su una di quelle guide "alternative", ossia che non fanno parte di quel crocchio di giurie da processo inquisitorio che, di fatto, decretano, per chi non è menzionato, una bocciatura sonora delle proprie produzioni o della “filosofia” aziendale.  Personalmente non credo molto a queste classifiche, in senso generale, spesso pilotate o comunque sotto la regia di qualcuno che tende a tirare la volata di certi produttori o di certi consulenti. Una visione diversa, per esempio, fuori da certi schemi, sono le “corone” assegnate dalla guida “Vini buoni d’Italia”, l’unica guida di vini da vitigni autoctoni italiani, pubblicata da Touring Club. E’ stata la prima guida a terminare, già da qualche mese, le sue fatiche che, per nostra gioia, hanno portato alla ribalta anche dei produttori molisani. Nella fattispecie sono stati premiati la Tintilia “Sator” 2009 dell'Azienda Agricola Cianfagna di Acquaviva Collecroce e il Molise rosso “Gironia” 2006 delle Cantine Borgo di Colloredo di Campomarino, entrambi vini doc, insigniti della Corona, il massimo riconoscimento per i vini top dell’eccellenza, e la Tintilia “Rutilia” 2009 delle Cantine Salvatore di Ururi a rappresentare il Molise con la “Golden Star”, altro riconoscimento per i vini che hanno espresso eleganza finezza, equilibrio, qualità e precisa espressione del varietale e del territorio. I vini da vitigni autoctoni saranno di scena da venerdì 9 novembre a lunedì 12 novembre al "Merano international wine festival".
 
 
Questi sono risultati che fanno piacere e danno sicuramente linfa e lustro a una realtà da molti bistrattata, relegata ai margini di un sistema produttivo di assoluto valore. Tempo fa leggevo un articolo che parlava del futuro della vitivinicoltura del centro-sud Italia e, tra i vari esperti, ricordo il contributo che diede alla discussione il Prof. Attilio Scienza, un’autorità internazionale del campo. Secondo l’illustre accademico, nei prossimi anni ci sarà una vera e propria inversione di tendenza, con il sud a uscire in maniera prepotente, segnali che già stanno dando in maniera inequivocabile Sicilia, Puglia e Campania, anche loro alle prese con una pericolosa contrazione delle superfici vitate negli ultimi anni, ma dove stanno aumentando gli investimenti dei grandi gruppi imprenditoriali del vino. Come si colloca la nostra realtà? I numeri non sono paragonabili, è vero, ma di certo non mancano le altre prerogative e le peculiarità, che non bisogna rovinare con strategie di comunicazione e organizzazione commerciale sbagliate, cercando, in primis, di radicare la cultura del vino nel territorio, cosa che ci pone, aimè, in questo momento, nel medioevo enologico.
 
Sebastiano Di Maria
 
 

giovedì 4 ottobre 2012

LA TERRA DEI CACHI

Immaginavo di avere un certo bagaglio sulla terminologia enologica, non perché sia un esperto navigato, tutt’altro, ma tra una marea di blog di sommelier e/o giornalisti di cui pullula la rete, pieni zeppi di recensioni, spesso mirabolanti e degne delle performance della migliore Tania Cagnotto – leggere la rubrica “parla come mangi” per farsi un’idea – pensavo di averle sentite tutte. In effetti, così non è stato, anzi, finalmente si torna con i piedi per terra, troppo forse: “vini semplici, beverini, talvolta persino ingenui ma dallo strepitoso rapporto qualità/prezzo” e ancora “elogio della semplicità enologica”. Tutto bene tranne che, quest’elogio alla semplicità, in realtà, è rivolto ai vini molisani dalla più autorevole delle guide, quella del Gambero Rosso, che puntualmente in questo periodo traccia un resoconto sull’eccellenza enologica del bel paese. La cosa non mi ha fatto sobbalzare dalla sedia, lo ammetto, però mi ha urtato un pò, non tanto per i numeri e la visibilità su cui ho già ampiamente espresso la mia opinione, non tanto per una qualità intrinseca in rampa di lancio, come la rispettabilissima guida sottolinea, ma per quell’ingenuo che, sinceramente, non riesco a collocare.
 
 
Estratto da Tre Bicchieri - Gambero Rosso
Se scorriamo i significati che l’aggettivo può assumere, si passa da “innocente, candido, privo di malizia” a “semplice e schietto” che, da un punto di vista enologico, per come la vedo io, rispecchia in pieno una realtà ancora inespressa, lontano dalle luci della ribalta, mentre se vogliamo coglierne una sfumatura negativa, si passa da “sempliciotto, credulone” a “disposto a farsi ingannare”. Cavolo, questi in Molise ci sono proprio stati e non solo hanno valutato prodotti e produttori, non come qualcuno che recensisce comodamente seduto a tavolino, ma hanno pure dato una valutazione introspettiva del molisano medio. Non volendo infierire su quest’ultimo aspetto che, da un punto di vista squisitamente enologico, non centra un emerito tubo, ma che, per certi versi, attanaglia l’abitante del vecchio “Contado di Molise” e che lo pone di fronte a scelte importanti, come sulla devolution amministrativa (macroregioni), non lo esclude da colpe su questa visione semplicistica della realtà regionale, oggi alla ribalta nazionale più per il malaffare. L’azienda Di Majo Norante non si scopre certo adesso e il suo livello qualitativo, come certificato annualmente dalle più importanti guide enologiche, è di altissimo profilo, la “vera ambasciatrice della regione nel mondo”, come la definiscono quelli del Gambero Rosso. Peccato che, com’è capitato a me più di una volta, questo connubio non sia sempre così concreto e visibile, della serie: “si, Di Majo, grandi vini ma non sapevo fosse in Molise”. Altro dato su cui riflettere è, come già avevo ampiamente anticipato in quest’articolo su cui non mi dilungo avendone già sviscerato ampiamente il contenuto, che invito ad andare a rileggere per completezza d’informazione, l’assenza dello stesso produttore nello stand del Molise al Vinitaly.
 
Sistemazione aziende molisane all'ultimo Vinitaly
 
Passiamo all’altro dato che emerge da questa diagnosi fatta dall’autorevole rivista. La semplicità enologica di cui parlavo poc’anzi, al netto della mia analisi filologica un po’ sopra le righe, in realtà, non è un dato negativo a mio avviso, tutt’altro. Perché? L’attuale tendenza enologica si divide in due grandi filoni, da una parte si cerca la conquista del consumatore con vini piacioni e ruffiani, dal gusto internazionale, spingendo su affinamenti in legno piccolo (barrique) ed estrazioni spinte, dall’altra si punta su vini più fini e delicati, cercando di far esaltare la territorialità, attraverso affinamenti in legno grande ed estrazioni controllate, in tal senso si collocano gli autoctoni. Quel “vini semplici e talvolta ingenui”, per come l’ho decifrato io, sta a indicare dei vini ben fatti, scolastici, senza una particolare connotazione che possa dargli un carattere distinguibile o associabile a una realtà produttiva. Mi spiego meglio. L’azienda Di Majo Norante è riuscita, con anni di esperienza alle spalle, grazie all’ausilio di una grande firma dell’enologia mondiale come Riccardo Cotarella, consulente esterno della stessa, a conquistare la ribalta con dei grandi vini con uno standard qualitativo elevatissimo, raggiunto con anni di sperimentazione, come per il Contado, che da una nuova dimensione all’Aglianico, il Don Luigi con il suo cuore di Montepulciano e l’Apianae, un passito da Moscato reale di successo. Il Molise non è solo Di Majo, ma tante altre aziende, molte nuove, che pagano lo scotto della gioventù, l’inesperienza. Ognuna di esse si è affidata a una visione della produzione e d'interpretazione dei risultati estemporanea, figlia di una politica di rientro degli investimenti cospicui con prodotti a basso rischio, di facile approccio per il consumatore. Se a questo aggiungiamo l’incapacità di gestire al meglio l’unico vitigno che potesse dare la svolta al sistema, la Tintilia, con scelte produttive e promozionali campanilistiche, senza l’egida restrittiva che solo un consorzio di tutela può dare, ecco che, in un periodo di crisi, a pagare dazio sono per primi i vini senza una connotazione territoriale.
 
 
 “Un solo premio nella regione che pure si muove a grandi passi verso l’eccellenza. E nel 2013…..”, è la chiosa dei giudici del Gambero Rosso, a testimonianza di potenzialità che ci sono, che possono esplodere in qualsiasi momento, se solo si sanno cogliere le opportunità che il territorio e la storia danno. I peccati di gioventù, come può accadere per le realtà territoriali nate da appena mezzo secolo, il cui genetliaco cade proprio il prossimo anno, si possono riparare solo con la consapevolezza della propria forza e con la comunità d’intenti. E magari il Gambero, per tener fede alla sua natura, farà un passo indietro.

Sebastiano Di Maria
molisewineblog@gmail.com


mercoledì 3 ottobre 2012

TURISMO SOSTENIBILE, UNA GRANDE OPPORTUNITA' PER IL MOLISE

Due giorni intensi quelli vissuti dai partecipanti all’iniziativa Turismo e Sostenibilità energetica promosso dall’Ufficio Nazionale CEI per la pastorale del tempo libero, turismo e sport; dall’Arcidiocesi di Campobasso-Bojano con il patrocinio della Regione Molise e della Provincia di Campobasso. Visite a Cercemaggiore, Altilia, Larino e al Santuario della Madonna Addolarata di Castepetroso, patrona del Molise come pure ad Agnone nei due templi, quello delle campane e quello del Caseificio Di Nucci, che hanno entusiasmato gli ospiti e reso ancor più chiaro il pensiero di un Molise da organizzare e spendere, con i valori e le risorse del territorio, sul mercato e far diventare il turismo una straordinaria energia per il domani del Molise.
 
 
 
 
“Una piccola regione – ha tenuto a sottolineare nel suo intervento conclusivo all’incontro di domenica nella sala conferenze dell’ex Gil di Campobasso, Don Mario Lusek, direttore dell’Ufficio della Cei per la pastorale del turismo – che ha tutto per diventare un laboratorio a livello nazionale capace di elaborare un metodo di lavoro sul territorio (intreccio e rete) che porti a esprimere quella strategia che serve per rendere concreto il percorso e, nello stesso tempo, per cogliere gli obiettivi sperati”. “Tanto più – ha affermato il relatore - in questo momento di grave crisi che chiede a tutti un ripensamento del percorso fatto che, bisogna rilevarlo, ha posto al centro di tutto la finanza ed ha escluso l’uomo”. Non solo Don Mario Lusek, ma anche tutti gli altri relatori prima di lui hanno raccontato con entusiasmo l’esperienza del giorno precedente in giro per il Molise, concordando sulle enormi potenzialità che questa nostra regione offre con il suo ristretto ma complesso e ricco territorio. Ricco di ambienti, paesaggi, storia, cultura, ruralità e agricoltura di qualità, ancora di una base forte, una vera e propria miniera, a disposizione della sostenibilità, che riguarda anche il turismo. La sostenibilità ha fatto da filo conduttore dell’importante incontro, uno straordinario evento per Il Molise nel momento in cui ha festeggiato e, a mio modesto parere, caratterizzato la 33a edizione della Giornata Mondiale del Turismo 2012. Mi riferisco all’intervento del rappresentante del Ministero del Turismo, la dottoressa Maria Teresa Coccia, che, ricordando l’impegno dell’attuale Ministro, Piero Gnudi, ha informato della predisposizione di un piano strategico, già pronto, che non ci è mai stato fino a ora. La ragione di questo vuoto è che il turismo non ha mai avuto la considerazione che merita, nel momento in cui riesce a mettere in moto tutte le sinergie perché “ ogni territorio diventI responsabile per essere accogliente … con regole che servono a rendere un Paese civile, sapendo che nella civiltà c’è l’espressione alta dell’ospitalità”.
 
 
 
C’era il prof. Norberto Tonini, una personalità a livello mondiale nel campo del turismo sociale, cioè di quel “turismo che esprime il significato di maggiore solidarietà, fratellanza e speranza per quanti nel mondo attendono ancora oggi di poter usufruire e godere del tempo libero, che un diritto conclamato da trasformare, però, in un’esperienza concretamente vissuta”. Poi ha parlato della sfida del XXI sec. Che è quella di passare “dallo sviluppo del turismo al turismo dello sviluppo” cioè al turismo di qualità che tiene conto della sostenibilità e dello solidarietà nel momento in cui è per tutti, di tutti e vede tutti partecipi. “Un turismo di qualità nel senso di consapevolezza e coesione delle comunità, che – ha sottolineato Tonini - si realizza solo se il territorio nel suo insieme lavora per questo tipo di sviluppo”. “E’ il territorio (Il giardino che attraversa il libro della Bibbia) – ha detto Mons. Bregantini, a tutti noto come padre Giancarlo – il dono più grande che Dio ci ha dato e, come tale, va curato (sostenibile) perché esprima tutte le sue tipicità, sapendo che a nessuno è permesso di sprecarlo”. Padre Giancarlo continuando nel suo intervento, come sempre chiaro e ricco di esempi, didattico, ha parlato della sua gioia di sapere che il Molise, quale regione vivibile, è diventato protagonista di un tema centrale qual è quellodel turismo, ciò che vuol dire che può affrontare la sfida. A tale proposito l’esempio validissimo di Castel del Giudice, il piccolo comune che guarda l’Abruzzo nella parte alta della Val di Sangro, con le sue mele biologiche, il partenariato popolare, l’ospitalità diffusa con le stalle trasformate in stupende dimore.
 
 
 
Ha suscitato attenzione l’intervento del ricercatore prof. Maurizio Boiocchi, che ha parlato dei cammini e delle nuove vie del turismo riportando l’esempio de “Le strade delle Abbazie” in Provincia di Milano, quale proposta facilmente riconoscibile per una città che ha, nel 2015, il grande appuntamento con l’Expo. L’incontro mondiale che ha come tema “Nutrire il pianeta”, cioè la sostenibilità e il cibo quale grande risorsa che ci porta direttamente alle tradizioni e alla buna tavola, cioè a un turismo culturale e spirituale che non ha niente di forzato, ma del tutto naturale e, per di più, diffuso. Dell’Energia sostenibile per le piccole comunità dell’Adriatico ne hanno parlato, con grande competenza, i responsabili del progetto strategico “Alterenergy”, Dott. Claudio Polignano e Ing. Massimo Pillarella, mentre la dr.ssa Gabriella Guacci, responsabile del progetto “Adristorical Land”, ha sviluppato il tema “Turismo energia per i territori” con il ritorno alla terra e la riscoperta delle tradizioni che riporta al concetto di territorio e sostenibilità mediante “intreccio e rete” di cui – come dicevo all’inizio - ha parlato Don Mario Lusek. Don Mario che si è soffermato su “il turismo come metafora dell’esistenza, viaggio della vita che, come si sa, comporta impegno, fatica, con il turista un po’ pellegrino e il pellegrino un po’ turista, cioè motivato dalla scoperta, dalla bellezza, dall’emozione, dalla spiritualità che il cammino esprime”. C’erano a questo incontro i massimi rappresentanti istituzionali, I presidenti della Regione e della Provincia, Iorio e de Matteis che, insieme con l’assessore alle attività produttive, Scasserra, hanno portato il saluto entrando nel merito del tema in discussione. Non c’era il sindaco di Campobasso. Una domenica intensa di riflessioni grazie ad un incontro magnificamente organizzato, che ha avuto nell’avv. Mario Ialenti il grande regista non solo del confronto ma dell’intera iniziativa, con il Molise protagonista della “Giornata mondiale del Turismo 2012”.
 
 
Pasquale Di Lena
 
 


lunedì 1 ottobre 2012

MANIFESTAZIONE DIVINOLIO IN MOLISE

Ecco il servizio sulla manifestazione Divinolio, tenutasi a Termoli dal 20 al 23 settembre, andato in onda sull'emittente regionale TeleMolise. Buona visione.

 
 
 
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