giovedì 26 settembre 2013

RIDURRE LA SOLFOROSA, MA CON GIUDIZIO

Un autorevole gruppo di ricerca nazionale francese ha recentemente pubblicato i risultati di un triennio di ricerca sulla riduzione della solforosa nei vini. Il progetto prevedeva due percorsi: uno che valutava la riduzione dei solfiti del 50% rispetto al testimone ed uno che mirava invece ad ottenere vini con un tenore totale da 0 a 10 mg/l. Per ottenere questi risultati sono state utilizzate nel corso della vinificazione e della conservazione dei vini sperimentali, circa una cinquantina, delle varianti rispetto alle trafile tradizionali che per i vini bianchi consistevano nella forte riduzione delle aggiunte di solforosa nelle fasi pre-fermentative, nella pressatura sotto gas inerti, nel controllo della temperatura, nella conservazione sui lieviti fini. Nei vini rosé invece è stato utilizzato l’acido ascorbico e/o la chetonasi, mentre nei vini rossi, per abbattere la flora batterica, è stata utilizzata la filtrazione tangenziale.
 
 
 
A livello sensoriale, il criterio utilizzato per valutare il risultato delle prove, con una riduzione dei solfiti del 50%, i vini erano più fruttati e più pieni, mentre, con l’eliminazione quasi totale, il profilo sensoriale era molto più povero, venivano valorizzati i descrittori terpenici ma scomparivano quelli tiolici e comparivano note di mela matura e di ossidazione. Le ricerche hanno accertato che una riduzione del 50% è accettabile sia dal punto di vista fisico-chimico che microbiologico (se le uve sono sane) e sul piano aromatico la presenza di tioli varietali è mantenuta. La vinificazione senza solfiti è molto rischiosa per la presenza di popolazioni microbiologiche molto alta ed il profilo sensoriale manifesta note di ossidazione poco gradevoli.
 
Fonte: Tre Bicchieri Gambero Rosso (articolo a firma del Prof. Attilio Scienza)


 

lunedì 23 settembre 2013

EXPORT VINO PER REGIONI: MOLISE SUGLI SCUDI

Vi riporto di seguito l'ultima analisi, a cura del Corriere Vinicolo, sui dati export delle singole regioni italiane dell'ultimo semestre, con il relativo raffronto con lo scorso anno. Leggendo le statistiche, l'occhio è andato subito sul Molise e, un po' meravigliato, lo ammetto, ho constatato che non solo viene confermato il trend positivo del primo trimestre dell'anno, ma bensì c'è stata una vera e propria impennata che ha proiettato la nostra piccola realtà in cima alla classifica, come variazione percentuale, naturalmente. Un dato straordinario che, purtroppo, Carlo Flamini, attuale Direttore del  settimanale che dal lontano 1928 è un punto di riferimento per tutta la filiera, che conosco personalmente visto che da qualche mese sono un collaboratore, come corrispondente per Abruzzo e Molise, non ha citato nemmeno per striscio, non per malafede, ci mancherebbe, ma per via dei volumi e del valore della nostra produzione che sono trascurabili rispetto alla media nazionale. Tuttavia, il dato c'è ed è importante, non mancherò di farlo presente al direttore della testata, soprattutto per una realtà come la nostra alla ricerca di una propria identità.
 
Fonte: Corriere Vinicolo
Il Veneto si conferma campione italiano dell'export, con performance ancora in grande crescita: +11% a fronte del +8% della media italiana. Con oltre 730 milioni di euro di valore, la regione stacca di 300 milioni il Piemonte (pur in ottime condizioni di salute, +7%) e di circa 400 milioni la Toscana, anch'essa in terreno positivo nel giro di boa annuale. Bene anche tutte le altre regioni sopra i 100 milioni di esportato: Trentino Alto Adige (+8%), Emilia Romagna (+18%, miglior crescita assoluta) e Lombardia (+14%). Buono, per scendere in classifica sotto i 100 milioni, il consuntivo abruzzese, che conferma l'andamento positivo dei primi tre mesi, mentre continuano le dolenti note per il vino pugliese, inchiodato a -13%. In netto peggioramento il quadro della Sicilia, che vira in negativo (-1%) la buona performance con cui aveva chiuso il primo trimestre. In deterioramento anche Friuli, Marche e Lazio (queste ultime due restano comunque positive, +2%). In ripresa la Campania (+15% contro il magro +2% del primo trimestre), mentre conferma il dato negativo l'Umbria.
Il dato è chiaro, c'è poco da commentare; tra i "piccoli" siamo quelli con il maggior incremento percentuale in termini di valore nell'esportazione, ben il 49,5% in più rispetto al primo semestre dell'anno precedente oltre che primi in assoluto, ma solamente pari allo 0,8% in valore rispetto al nazionale. Questa crescita esponenziale è figlia di un aumento della qualità della produzione regionale, in termini d'incremento del numero di aziende imbottigliatrici, ma soprattutto grazie ad un opera promozionale che le singole aziende, purtroppo, si fanno carico, mancando, di fatto, una programmazione condivisa. Immaginate quali risultati si potrebbero raggiungere se, al contrario, ci fosse un'unica strategia  comune di promozione e dei relativi effetti sull'intero comparto, ed invece siamo alle prese con il rischio di perdere la denominazione Osco o Terre degli Osci, IGT che l'Abruzzo vuole sottrarci perché, di fatto, lavora parte delle nostre uve, cosa che sta andando avanti da anni ma mai affrontata di petto, se non nell'ultimo periodo, forse troppo tardi. La Tintilia continua a rimanere un prodotto di nicchia, è vero, ma pur sempre fortemente identitario, seppur di difficile individuazione da un punto di vista sensoriale vista l'eterogeneità delle diverse produzioni, anche se i caratteri comuni sono ben noti. Un attento studio scientifico sui diversi areali di produzione, come la zonazione, potrebbe essere un valido strumento per comprenderne le peculiarità rispetto ai diversi territori, oltre che un potente mezzo di comunicazione.  
 
Vigneto di Tintilia
In questi mesi sono stati diversi gli appuntamenti sugli sviluppi e sul futuro della vitivinicoltura regionale, San Felice, Riccia e Termoli, solo per citarne alcuni, orfani quasi sempre delle istituzioni, pieni di propositi e idee valide, per carità, ma finché non verranno tradotti in opere concrete rimarranno solo chiacchiere. In attesa del responso delle varie guide che vengono pubblicate in questo periodo, che ad oggi hanno mostrato un Molise enologico in salute e in ascesa, bisogna elogiare a gran voce le singole aziende produttrici e imbottigliatrici se la nostra vitivinicoltura  ha un senso e un futuro, come gli ultimi premi assegnati alla cantina Borgo di Colloredo al gran premio internazionale Mundus Vini 2013. Grazie.
 
Sebastiano Di Maria

 
 

martedì 17 settembre 2013

ALTRO EVENTO PROMOZIONALE A TERMOLI: DIVINOLIO

Nel convegno "Vino e Olio: Il gusto della salute" ci sarà, tra gli altri, il contributo del sottoscritto che illustrerà il progetto "Scuola del gusto" e farà un resoconto dell'attività svolte nel primo anno, quella relativa al percorso formativo "Un Molise divino".







Sebastiano Di Maria


lunedì 16 settembre 2013

VENDEMMIA: PUNTARE SULLA QUALITA'

Sintesi dell'intervista rilasciata a Primonumero, pubblicata sabato 14 settembre 2013.


Intervista a Sebastiano Di Maria, esperto del settore vitivinicolo. La produzione dovrebbe aumentare dell'8 per cento rispetto alla scorsa stagione. “Tuttavia” ammonisce l’esperto “se la nostra regione vuole avere un futuro nella produzione di uve da vino deve puntare sulla qualità del prodotto, e non soltanto sulla quantità”. Secondo Di Maria occorre concentrare gli sforzi anche sul lancio della Tintilia, il vitigno locale che deve essere valorizzato. E poi: i costi della vendemmia, l’impiego dei braccianti, la riduzione dei terreni destinati alla vite

di Alessandro Corroppoli
 
Il 2013 sarà un’ottima annata per la vendemmia regionale ma “la scelta di fare quantità anziché qualità alla lunga non ha pagato in questi ultimi anni” con il risultato che “molti produttori sono confluiti in realtà cooperativistiche del vicino Abruzzo e molte delle uve ancora oggi prodotte in Molise vanno al di fuori dei confini regionali”. Secondo il Dottor Sebastiano Di Maria, Tecnologo Alimentare con un Master in “Gestione del sistema vitivinicolo”.

Dottor Di Maria il 2013 sarà un’annata buona per la vendemmia regionale?
«In questo periodo dell’anno si fa una stima sulla vendemmia sia in termini quantitativi sia qualitativi. I dati che sono emersi da questa prima analisi stimano una produzione di circa quarantaquattro milioni di ettolitri di vino, circa l’8 per cento in più alla campagna 2012. Attenzione però a facili entusiasmi: la campagna 2012, infatti, che secondo le stime doveva essere la più scarsa degli ultimi cinquant’anni, in realtà è stata poi sopra della media degli ultimi anni».

Insomma le premesse per un’ottima annata pare ci siano tutte. Mediamente un ettaro di vigneto quanta uva produce?
«Dipende dal sistema di coltivazione. Il tendone non solo è ancora la forma più diffusa in regione, ma è anche una delle più produttive, in particolar modo se irriguo. In genere in un vigneto del genere si possono superare tranquillamente i 300 quintali per ettaro, fino a punte di 500 per le uve bianche. Purtroppo, da queste uve, non bisogna aspettarsi granché in termini qualitativi, sono solo un’ottima fonte di reddito per chi le produce».

Quantità a discapito della qualità, in definitiva …
«Non è sempre così. Per fortuna esistono delle realtà, anche in regione, che puntano più sulla qualità dove il sistema di coltivazione non è a tendone ma a spalliera e i quintali di produzione arrivano intorno ai 120 per ettaro. Da questi vigneti di solito nascono vini di grandi qualità».

Che costi ci sono per la raccolta?
«Le grandi aziende hanno la possibilità di raccogliere, attraverso vendemmiatrici, grandi quantità di uve in poco tempo, con un sostanziale abbattimento dei costi. Una vendemmiatrice, in condizioni ottimali, può impiegare due ore per ettaro con un costo pari a circa 500 euro l’ora se ci si affida a una ditta esterna».

Manualmente invece?
«Dipende molto dal tipo di piantagione. Generalmente, giacché una persona può raccogliere circa 15 quintali di uva al giorno, per le viti a tendone sono necessarie circa venti persone e quindi il costo per la raccolta è di circa 1000-1200 euro per ettaro».

Chi sarà a vendemmiare? Vedremo sotto i filari braccianti agricoli extracomunitari oppure ci saranno laureati e disoccupati?
«La raccolta manuale rappresenta un costo importante. Un aiuto per le aziende sono i “Voucher” per il lavoro occasionale (rilasciati dall’Inps) utilizzabili, nel caso della vendemmia, solo per pensionati e studenti. In genere le piccole aziende utilizzano manodopera familiare. Quelle più grnadi oltre ad affidarsi agli stagionali o ai braccianti, che già lavorano alla cura dei vigneti in altri periodi dell’anno, si affidano a piccole cooperative di stranieri, rumeni in particolare. La raccolta dell’uva, ma anche quella successiva delle olive, rappresenta una soluzione importante, anche se temporanea, per chi ha difficoltà nel trovare un lavoro».

Quali sono le uve che vanno per la maggiore in Molise?
«Senza dubbio la varietà Montepulciano, per le uve a bacca rossa, e i Trebbiani, per le uve a bacca bianca, sono le più coltivate. Poi ci sono vitigni altri italiani come Sangiovese, Falanghina e Aglianico, oppure internazionali come Chardonnay e Cabernet ma attenzione, alla probabile crescita del Pinot Grigio che forse molti non sanno essere il vino italiano più bevuto al mondo, il cui mosto è particolarmente appetibile per le grandi cantine e gruppi imprenditoriali del nord».

Si dimentica della Tintilia?
«Assolutamente no. La Tintilia è il vitigno regionale per antonomasia, rappresenta l’unica forza per il rilancio dell’enologia regionale e la sua produzione deve necessariamente aumentare».

Cosa andrebbe migliorato nel mondo vitivinicolo molisano?
«Le faccio una premessa. Negli ultimi vent’anni, in regione c’è stato una riduzione di superficie adibite a vigneto. Attualmente gli ettari coltivati ad uva sono 5.800».

Riduzione dovuta a cosa?
«La scelta di fare quantità anziché qualità alla lunga non ha pagato. Molti produttori locali sono confluiti in realtà cooperativistiche del vicino Abruzzo e molte delle uve ancora oggi prodotte vanno al di fuori dei confini regionali, tanto da rischiare concretamente di perdere la denominazione “Osco” o “Terre degli Osci” a favore dei nostri “cugini” abruzzesi. La Regione Molise solo di recente si è adoperata per evitarne lo scippo».

Della serie, “si chiude la stalla quando i buoi sono già scappati”?
«Pare proprio di sì. Però c’è da dire che vi è stata un’impennata importante nella qualità dei vini prodotti, come certificato dal numero crescente di riconoscimenti nei vari concorsi enologici. L’obiettivo da perseguire, quindi, è la ricerca della qualità, evitando l’invio di autocisterne con mosto-vino in altre realtà territoriali, evitando la vendita di uve fuori dei confini regionali, ma cercando di imbottigliare e conquistare i mercati, mi riferisco in particolare a cooperative di produttori, visto la forza straordinaria del marchio dei vini italiani nel mondo».
 
A tal proposito, cosa si sente di dire al neo assessore all’agricoltura regionale Vittorino Facciolla?«C’è grande fermento e passione intorno al mondo del vino come strumento di promozione. Ma per crescere c’è bisogno che istituzioni, mondo produttivo, associazioni e accademici coordinino le loro iniziative».

Ci sta dicendo che non c’è collaborazione tra Regione e imprenditoria agricola?
«Sì, lo scollamento che esiste tra produttori e istituzioni è concreto».

Ci faccia qualche esempio concreto?
«Per esempio all’ultimo Vinitaly (la più importante rassegna enologica che si svolge ogni anno a Verona, ndr.) solo parte delle nostre aziende erano presenti nello stand allestito dalla Camera di Commercio di Campobasso. Quest’anno, inoltre, vi sono state nuove defezioni rispetto alla precedente edizione. Il disappunto verso le politiche istituzionali regionali è netto. Altro esempio concreto è il funzionamento del Consorzio di tutela dei vini del Molise: non si conoscono iniziative volte alla valorizzazione delle produzioni locali. Cosa fa questo Consorzio? Come aiuta il mondo vitivinicolo regionale ad aumentare il proprio valore? Di fatto esiste solo sulla carta».

In sostanza, allora, cosa chiede all’assessore regionale?
«Il nuovo Assessore, a mio avviso, dovrà riannodare i rapporti con il mondo produttivo, attraverso una piattaforma condivisa attorno a cui costruire un unico brand, cioè un unico marchio. Ci vuole una programmazione seria e mirata basata sulla valorizzazione della Tintilia, vera forza per emergere in un sistema omologato. E poi non solo vino, ma una sinergia con le altre eccellenze, come l’olio extravergine, i formaggi, il tartufo e un territorio rurale per gran parte ancora incontaminato».

Dottor Di Maria lei si occupa anche di promozione e diffusione della cultura enologica. Ha creato un blog dal quale è nato il progetto “Scuola del Gusto” ottenendo riconoscimenti e collaborazioni con importanti riviste del settore.
«Il blog è stato la risposta immediata dopo gli studi condotti durante il Master nella prestigiosa location della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige, la più importante scuola enologica in Italia. L’intento era di portare e diffondere la cultura enologica in Molise. Dal blog è nato il progetto “Scuola del gusto”, svoltosi presso l’Istituto Tecnico Agrario di Larino, attraverso il percorso formativo multidisciplinare “Un Molise divino”, che tanto successo ha riscosso in termini di adesioni e consensi tra gli addetti del settore. Penso al seminario “Sorsi di cultura”, il primo nella Regione in cui si è parlato di antropologia, archeologia, arte, ruralità, territorio e marketing come chiave di volta per il suo sviluppo, oppure agli “Itinerari del gusto”, percorsi formativi e informativi».
 
Fonte: Primonumero 
 

 

sabato 14 settembre 2013

IL VIGNETO BIOLOGICO CONTINUA A CRESCERE, NON IN MOLISE

Continua la crescita del vigneto biologico in Italia: nel 2012, secondo l'ultimo rapporto Sinab, sono stati censiti 56.000 ettari destinati a uva da vino, di cui 36.000 effettivi e 20.000 in conversione, per una crescita annua del 9%. Il biologico rappresenta circa il 9% del totale a vite coltivato nel nostro Paese, 3 punti in più rispetto al 2009. Insomma, se il vigneto Italia cala, come abbiamo recentemente documentato, all'interno di esso vi è una nicchia che pare non conoscere crisi.
 
 

Diversificato l'andamento regionale (il dato Sinab qui incorpora anche le superfici a uva da tavola). Se la Sicilia, con oltre 16.000 ettari, continua a essere la regina del vigneto bio, è la Puglia la regione che sta crescendo di più: il totale bio nel 2012 è di 10.200 ettari, il 27% in più in anno, equivalenti alla messa a dimora o conversione di più di 2.000 ettari, che diventano 4.000 se allarghiamo il confronto con il 2009. Cresce in maniera notevole anche il piccolo vigneto bio friulano (+27%, a poco meno di 500 ettari), così come quelli di Toscana, Umbria, Piemonte e Trentino Alto Adige. Riduzioni invece per Lombardia (-15%), Sardegna (-23%), Liguria, Lazio e Basilicata.
 
 
 
La regione con la più alta incidenza percentuale di biologico sul totale coltivato a vite è l'Umbria, che raggiunge quasi un terzo. Qui però il dato non pare essere attendibilissimo, considerando che solo nel 2010 si coltivavano con metodo bio 630 ettari, quindi probabilmente la statistica è da rivedere. Se il dato umbro fosse falsato, a parte ridurre sensibilmente tutto il calcolo sul vigneto nazionale, la regione con la maggior quota di biologico diventerebbe automaticamente la Calabria, con il 19%.

Fonte: Unione Italiana Vini
 
 
In Molise, invece, il quadro è diametralmente opposto, con una contrazione di circa otto punti percentuali. Si assiste ad un incremento sostanziale nelle regioni con superfici vitate maggiori o, comunque, quelle che primeggiano nel settore enologico con alcune delle denominazioni più importanti. Questo dato dimostra un interesse crescente verso produzioni sostenibili, anche se, non è da escludere, che si tratti di opportunità di mercato da cogliere, in particolar modo per i grossi gruppi imprenditoriali. Il Molise, invece, che potrebbe cogliere questa come un'ulteriore opportunità di crescita, visto che non ci sono areali viticoli di grande impatto e che le condizioni ambientali, spesso, lo consentono, non si dimostra lungimirante in tal senso, anche se il rapporto percentuale rispetto alla superficie totale è abbastanza buono, ma ancora lontano da realtà più vicine alla nostra come Calabria e Basilicata.
 
Vigneti a conduzione biologica a Acquaviva Collecroce
Il regolamento n° 203/2012, in vigore dal 1 luglio 2012, che decreta di fatto la nascita del "vino biologico", come ho avuto modo di parlare in maniera approfondita in questo articolo e in quest'altro articolo, spesso non ha il giusto risalto nella stampa specializzata, forse più preoccupata a difendere gli interessi delle multinazionali, o addirittura oggetto di vera e propria disinformazione. A tal proposito, riporto un passaggio di un articolo comparso sul sito di Panorama, che si commenta da solo, che dimostra una certa avversione verse certe tipologie di produzioni.
 
Il vino ha la caratteristica di essere uno dei pochi prodotti che quando viene immesso nel mercato come biologico spesso in realtà non lo è. No, non è una truffa, di adulterazioni e contraffazioni ce ne sono già abbastanza, ma è proprio una questione di classificazione.
Il vino bio ufficialmente non esiste. Esiste il vino ottenuto dalla lavorazione di uve da agricoltura biologica, magari disciplinato dalle organizzazioni che di produzione biologica si occupano. Le esigenze di produzione su larga scala fanno si che nella fermentazione e maturazione del vino il processo spesso sia lo stesso utilizzato per il vino tradizionale nella pressatura, dalla macerazione del pigiato all’illimpidimento dei mosti dalla correzione dell’acidità alla fermentazione alcolica e malo-lattica, solfitazione, conservazione, chiarificazione e filtrazione, magari con quantità inferiori di sostanze rispetto all’industria tradizionale.
Il vino bio risponde quindi più ad un esigenza di mercato che ai reali principi delle produzioni “vergini”.
La sostenibilità ambientale, come ho già avuto modo di parlarne in questo post, cosi come  i sistemi di coltivazioni biologiche, o comunque rispettose della natura, su qui tornerò a parlarne a breve, devono essere un dovere e non un'opportuna.

Sebastiano Di Maria
molisewineblog@gmail.com



mercoledì 11 settembre 2013

QUANDO LA DEGUSTAZIONE DIVENTA POESIA: QUIVI SOLO SENTIR DI ALGIDITA' E SUAVITA' SOVRANA


 

Vi son regni di linfa ove mai nessuna nube alcun ombra vi pose. Quivi solo sentir di algidità e suavità sovrana. Non una vena fumosa o scura, ma solo percezioni d'aroma della flora più prima e pollinar della natura. Una soffusione-effusione di fragranza e illibatezza assolutamente cristallina. Qui è il regno dell'uva, nella sua veste olfattiva quintessenziale più pura. Un profumo di tale pulizia esecutiva, di tale integrità ossidativa da risultar insuperabile in luminanza, brillanza, iridescenza espressiva. Un susseguirsi di morbidezza e profilante fragranza dell'acidità di struttura, che ogni deglutizione è della polposa rotondità e della perfetta suadenza della sua bacca nativa. Il tutto avvertito, goduto ed espresso con un'abbondanza e potenza di ricchezza estrattiva, che la sontuosa viscosità del suo tatto è quello d'un rosso di maestosa tramosità fondativa. Un vino di consistenza, equilibrio e integrità enologica esecutiva tale da rendere con piacevolezza universale la massima virtù analitica e compositiva della sua essenza viticola ed enologica costitutiva. Fra i migliori bianchi mai prodotti e testati d'ogni tempo e ove, capolavoro capace di riecheggiare, di richiamare il frutto uva con fulgor e definizione sublimi, mai attinti, né mai sperimentati prima.

Fonte: Luca Maroni, Donnaluce 2011 – Poggio le Volpi
 

Balanço - More (1999)

NB Per una lettura migliore della scheda si consiglia questo brano come sottofondo




lunedì 9 settembre 2013

COLTIVARE LA BIODIVERSITÀ PER TRASFORMARE LA VITICOLTURA

L’ultima rivoluzione agricola, basata su vitigni selezionati, sull’uso di concimi minerali ed antiparassitari di sintesi ha prodotto una sorta di industrializzazione della viticoltura e la biodiversità nel vigneto è stata vista come un fattore limitante da eliminare. La viticoltura “ecologicamente intensiva” prende lo spunto da quella che negli anni ’90 venne definita la rivoluzione doppiamente verde o evergreen, la quale aveva come caratteristica principale quella di inserirsi in un ecosistema di produzione complesso dove le attività produttive “fanno sistema” (come ad esempio l’articolazione tra viticoltura ed allevamento del bestiame, la riduzione dei residui della produzione, il riciclo degli stessi per migliorare la fertilità dei suoli attraverso la produzione dei compost). La definizione di agricoltura ecologicamente intensiva è di P.P. Rabh, agricoltore e filosofo che nel 1928 preconizzò un'agricoltura fondata sulla semplicità e salubrità dei comportamenti ed un impiego delle risorse nel rispetto della natura.
 
 
 
Contemporaneo di R. Steiner, padre dell’antroposofia, per il quale l’agro-ecologia doveva basarsi su pratiche esoteriche, affermava invece che la nuova agricoltura si fondava sullo sviluppo delle conoscenze derivanti dall’applicazione delle scoperte dell’agronomia, dell’ingegneria e della tecnologia. La biodiversità di un vigneto è definita come l’insieme di tutte le forme di vita presenti sulla superficie e nel suolo (piante, animali, microrganismi) fino ai geni delle varie entità viventi. L’obiettivo di un ecosistema agricolo è la resilienza, proprietà presente negli ecosistemi naturali che è il risultato di alcune condizioni quali la complessità dell’organizzazione funzionale che garantisce la solidità (nel senso di tenere tutti i costituenti assieme),la diversità dei partecipanti (vegetali, fauna, risorse alimentari), gli stocks e le risorse sistemiche. La trasformazione da monocultura in un più complesso agro sistema è ormai una necessita per i vigneti di tutto il mondo ed è possibile realizzarla con strategie di copertura vegetale del suolo.
 
Fonte: Tre Bicchieri Gambero Rosso (articolo a firma del Prof. Attilio Scienza)


 
 
 

lunedì 2 settembre 2013

SINERGIA, RETE, CONDIVISIONE: IL FUTURO DEL MOLISE?

Uno degli ultimi appuntamenti della ricca estate molisana, incentrata sulla promozione delle produzioni agroalimentari di qualità, con capofila la Tintilia, seguita dalle altre eccellenze enologiche e da tutti gli altri prodotti tipici regionali, è andato in scena a San Felice del Molise, una delle comunità croate della Regione. In realtà, si è trattato del secondo appuntamento di un percorso nato lo scorso anno, con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo del territorio, e dell’area del Trigno in particolare, attraverso la sinergia d’istituzioni locali e centrali, Università e mondo produttivo. Anche lo scorso anno partecipai all’evento e, in quell’occasione, scrissi un articolo in qui posi l’accento su un concetto che a mio avviso emerse in quel frangente, quel “autoreferenziali” che probabilmente a qualcuno non è piaciuto, e mi riferisco agli organizzatori o a coloro che ci hanno visto chissà quale atteggiamento ostile, cosa assolutamente non vera, tant’è che l’allora Assessore all’Agricoltura Fusco Perrella affermò con forza la necessità di fare squadra e di abbandonare logiche campanilistiche, confermata anche dalle altre rappresentanze istituzionali presenti. Quest’anno, infatti, manco a farlo apposta, gli interventi di tutti i relatori sono stati incentrati sulla necessità di una promozione del territorio utilizzando termini come “sinergia”, “rete” e “governance”, un modello, quest'ultimo, di gestione delle politiche territoriali, non più centralista, ma attraverso un alto numero di attori pubblici e soggetti privati con atteggiamenti concertativi e contrattuali nelle varie politiche di sviluppo. Mi riservo considerazioni personali sull'intera manifestazione in un post successivo. 
 
I relatori (da sinistra): Pasquale Di Lena, l'Ambasciatore Damir Grubisa, Giuseppina Occhionero, Monica Meini, Paolo Benvenuti e Giuseppe Di Felice
La Prof.ssa Monica Meini, moderatrice e madrina del convegno, docente di Geografia presso l’Università degli Studi del Molise, Ateneo firmatario di un protocollo d’intesa con il Comune di San Felice, ha proprio rimarcato la necessità, nella sua introduzione, di una corretta gestione dello sviluppo di un territorio attraverso il concetto di “governance”, dal livello comunitario, competente in materia di sviluppo regionale attraverso la creazione di fondi strutturali (Fers, Fse, Psr), seguita da una più effettiva condivisione nelle politiche regionali tra i diversi attori, istituzioni, mondo della ricerca e attività produttive. Il dato che è emerso, infatti, in termini generali, è proprio una difficoltà nella gestione delle risorse in ambito territoriale, tant’è vero che molti dei finanziamenti comunitari, spesso, non sono utilizzati o mal gestiti. L’accademica ha poi posto l’attenzione su un altro aspetto nevralgico nello sviluppo, ossia la necessità da parte della popolazione di acquisire consapevolezza e legame con le ricchezze che il territorio offre, perché ci sono e anche di qualità, in modo da esserne promotori e non freno, o addirittura comportarne la “cristallizzazione” attraverso la sostituzione con il cittadino extra-regionale che sempre più s’interessa al territorio molisano. Anche Paolo Benvenuti, Direttore dell’Associazione Nazionale delle Città del Vino, reduce dalla convention di Guardia Sanframondi in provincia di Benevento, dedicata a vino, salute e territorio, ha rimarcato la necessità che il mondo rurale, patrimonio di tutti, è quanto mai necessario per lo sviluppo e la crescita, trasformandosi come nucleo e fattore importante nei piani regolatori, che non siano più ad appannaggio dell’edilizia dei centri urbani.
 
Uno scorcio dello straordinario paesaggio che circonda San Felice del Molise
Per quanto riguarda le reti, di particolare interesse è stato l’intervento dell’Assessore alla Cultura del Comune di Campomarino, Giuseppina Occhionero, rappresentante dell’unica realtà molisana aderente alle Città del Vino, promotrice del progetto Enoteca regionale del Molise, che ha ripetuto la necessità di condivisione e partecipazione di tutte le realtà produttive regionali nel creare quest’unico sistema di promozione del vino, del territorio e di tutte le eccellenze gastronomiche, forte, con la capacità di guardare e proporsi al di fuori dei confini regionali e nazionali. L’intervento sicuramente più coinvolgente, che ha un po’ tratto le conclusioni e individuato i punti di forza di una corretta opera di sviluppo e promozione, è stato quello di Pasquale Di Lena, storico conoscitore del mondo rurale e padre di tante iniziative promozionali di successo nel mondo del vino, dell’olio e dell’enogastronomia. L’Accademico della Vite e del Vino, con la sua proverbiale carica fatta di passione e amore per la propria terra, fonte di pura emozione, come l’ha definita egli stesso, cosa che forse manca a più, affermo io, non ha avuto parole dolci quando ha attaccato in maniera decisa lo sviluppo del progetto "Enoteca regionale", come strumento di crescita, da parte degli stessi soggetti pubblici che stanno promuovendo l’insediamento della mega-stalla Granarolo di 12.000 manze, che sottrae terreno alle coltivazioni, cementifica e non crea nessun beneficio alla collettività, gli stessi che parlano di autostrada del Molise o di altre amenità che nulla hanno a che fare con la promozione. Un vero e proprio fiume in piena il Di Lena, che ha anche sdoganato il concetto di arretratezza, che spesso riecheggia tra la popolazione, come la vera risorsa di questa regione, giustamente valorizzata, attraverso le sue ricchezze enogastronomiche, olio, vino, formaggi e tartufo. Ha portato poi l’esempio del Brunello di Montalcino, che come Segretario Generale dell’Enoteca italiana di Siena, ha visto crescere e diventare simbolo del vino e dell’italianità nel mondo, attraverso il dialogo costante tra istituzioni e produttori. Non a caso fu proprio un primo cittadino del Comune di Montalcino che in maniera impopolare, ma rivelatasi lungimirante, rifiutò qualsiasi forma di sviluppo del proprio paese, preferendo il territorio e il Sangiovese come risorsa.
 
Balli e musiche della tradizione croata
 
La conclusione è spettata all’ambasciatore della Croazia in Italia, dall’1 luglio nuovo Stato membro della comunità europea, anch’egli fermo sostenitore della condivisione e dell’unione per la crescita, cosa che avrà il suo culmine quando nel secondo semestre del 2014 l’Italia prenderà le redini, con la presidenza, della comunità europea, istituendo la macroregione adriatica ionica, vera forma innovativa di cooperazione interregionale e transnazionale, con una “governance” comune su problemi condivisi (ambiente, sviluppo rurale, turismo ecc.), cui la Croazia crede molto e ha individuato nelle comunità croate e nel Molise il partner ideale.

Sebastiano Di Maria
molisewineblog@gmail.com

 
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